188
l'arte* Terza — Italia Centrale
Je circostanze, non riuscirono a tener assieme l'edilìzio, per quanto grandioso, male raffazzonato dal padre e senza coesione fra le varie sue parti. Donde il rapido sfacelo di tutto il vasto Stato, sul quale Gian Galeazzo aveva sognato, insieme alla grandezza della sua famiglia, dì fondare un regno d'Italia. Giovanni Maria Visconti, costretto a far la pace colla Chiesa, dovette abbandonare la città, che il padre suo aveva sottratto al dominio più o meno effettivo del pontefice, come devota al partito guelfo. Bologna non attese neppure che i trattati fossero ratificati. Il 2 settembre 1404, sollevatasi, cacciò dalle sue mura Facino Cane, capitano di ventura che per conto del duca la teneva.
11 principio del secolo XV fu tempestoso per tutta l'Europa centrale ed in par-ticola.r modo per l'Italia, nel continuo conflitto delle signorie che volevano affermarsi e consolidarsi colla reazione dei fautori delle antiche libertà. Ad aggravare la situazione si era aggiunto lo scisma religioso, gravissimo, a sopire il quale fu indetto il Concilio di Costanza, accenditore di roghi e sollevatore di più fieri dibattiti. In tanta confusione difficilmente alle popolazioni riesce di orientarsi per il meglio. Son sbattute di qua e di là senza una norma fissa, passando da un momento all'altro ai più contrad-dittorii propositi. Era il principio del grande naufragio delle libertà italiane. Bologna, sottoposta dal papa al governo del capitano II ventura Braccio da Montone, tenta più volte di riconquistare la pròpria libertà: tentativi che Braccio da Montone è sollecito a reprimere. Finalmente, e gì. pure, stanco di questa lotta ed avido di danaro, vende ai Bolognesi ciò che non era suo, la libertà, ritirandosi colle proprie truppe in Romagna. In tale affare egli incassa 30.000 fiorini a propri! benefìcio e 52.000 in pagamento di arretrati dovuti alle sue truppe. Colla partenza di Braccio furono richiamati in città i profughi da lui condannati e restituite ancora le patrie libertà.
Nuove agitazioni si accentuano nel 1428 in Romagna ed in Bologna contro il governo di Martino V, papa, che singolarmente aggravava le popolazioni di tributi. Bologna proclama la propria indipendenza, rompendola colla Chiesa ; ma, nel desiderio generale di pace aleggiante in quel momento sull'Italia, non è assecondata da nessuno, neppure dai Fiorentini, che erano sempre stati gli alleati suoi e sostenitori delle libertà italiane. In quel momento Firenze era prostrata da recenti sconfitte e non pensava a rifarsi in anni. Il moto di Bologna restò quindi isolato ed il papa si accinse con grandi forze a sedarlo. Molti dei signorotti circostanti si proffersero al papa di aiutarlo nella sua impresa contro Bologna per trarne agevolezze e danaro: Ladislao Gui-nigo di Lucca, senza nemmeno averne mandato da Martino V, si a 11 retti» a valicare i monti per marciare contro Bologna. Peraltro la guerra fu fiaccamente condotta. Insieme alla guerra scoppiarono di nuovo nella città le ire di parte. I Bentivoglio lavoravano a riacquistare i'antico sopravvento; a quest'opera avevano contrari i Zambeccari. 11 2 aprile 1430 un abate Zambeccari fece uccidere proditoriamente cinque dei Bentivoglio, ch'erano nella sala del Consiglio, accusandoli di voler fare trionfare la loro fazione. Ne nacque uri tumulto ed il legato pontificio fu costretto ad uscire dalla città. La guerra fu ancor continuata per un anno; finche, morto Martino V, i Bolognesi si riconciliarono col suo successore Eugenio IV e la pace fu concliiusa al 22 aprile 1431.
Credettero invano i Bolognesi di aver migliorata la loro condizione da quella pace. Eugenio mandò legati a governare la città con ogni rigore. Fra gli altri si distinse il vescovo di Concordia, il quale pubblicò un bando predicante la conciliazione dei partiti, il perdono agli esuli ed il permesso a questi di rientrare. Abboccarono infatti Antonio Bentivoglio — figlio di Giovanni, già signore della città — ed altri. Ma pochi giorni appresso mentre ascoltava la messa, che era celebrata dallo stesso legato, all'uscire dalla chiesa il Bentivoglio venne afferrato dai birri, imbavagliato e condotto davanti al podestà Baldassarre di Offida, che, senza interrogatorio nò altra forma di giudizio, gli fece immantiiienti mozzare la testa nel cortile del palazzo Pubblico, ove