Bologna
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furibondo gridò: « Sangue, io voglio sangue! , e mentre percorreva le vie, assistendo al massacro, incoraggiava i soldati alle atrocità gridando: « Morte a tutti! » (Chronka Estense e Chronica Sanese). Si contano a 5000 le persone perite in quell'eccidio e quelli che fra i Cesellati si salvarono lo dovettero ad una pronta fuga.
Questa strage recò più sdegno che terrore sulle città della Lega. Tutte, in segno di protesta, fecero celebrare solenni esequie per quegli innocenti ed il nome del legato andò maledetto ed esecrato per tutta Italia. Tenendosi esso sempre parato alla difesa non riuscì mai al feroce legato di assaltare, sorprendere e sottomettere Bologna. Nell'interno della città erano avvenuti mutamenti, che ne avevano maggiormente assicurata la libertà. Scoperta una congiura, ordita da Taddeo degli Azzoguidi e da altri della fazione Scacchiera per rimettere in piedi la signoria dei Pepoli, i congiurati e loro aderenti furono espulsi ; il restante della fazione, rimasto fedele alla libertà ed all'amicizia tanto utile dei Fiorentini, volle mutar nome staccandosi completamente dai Pepoli e prese quello dei Raspanti; i Bentivoglio — che sempre più andavano acquistando influenza nella città — i Saliceti, gli Azzoguidi, i Bianchi, i Gozzadini ed altre nobili famiglie entrarono nella nuova fazione dei Raspanti e con questo nome governarono la Repubblica.
A far cessare la guerra, ormai troppo lunga e dannosa, nel 1377, i Bolognesi mandarono ambascerie al papa per trattare della pace. Le pratiche, saggiamente condotte, sortirono buon effetto., anche per la condiscendenza di Gregorio XI, rimasto impressionato pei le stragi commesse dal cardinale di Ginevra a Cesena ed altrove, alienanti alla politica della Chiesa molti amici antichi e fidati. Fu convenuto che Bologna conserverebbe la sua libertà e la sua forma di governo popolare e che solo vi avrebbe sede un vicario pontificio, non per effetto di comando ma per apparenza. E perchè i Bolognesi 11011 concepissero alcuna diffidenza per tale clausola, egli nominò a suo vicario uno dei loro ambasciatori, ch'era anche dottore in legge e lettore nello Studio. La pace fu segnata il 21 agosto in Anagni e venne pubblicata nel settembre successivo in Bologna.
Passarono sul declinare poco fortunato di quel secolo, nel quale sì gran parte della forte vitalità italiana s'era esaurita in lunghe, sterili e sanguinose lotte suscitate da insaziabili cupidigie di dominio, anni abbastanza tranquilli per Bologna, che all'egida delle libertà popolari riparava ai danni del passato periodo.
A Bernabò Visconti, che non aveva mai cessato dal brigare per riconquistare Bologna, era subentrato col tradimento e l'usurpazione Gian Galeazzo, che trovando tempi e fortuna propizi, meditava di raggruppare intorno a sè il maggior Stato d'Italia e farsene gridar re. Naturale ch'egli volgesse l'occhio cupido su Bologna, città sì cospicua e gloriosa chiave, indispensabile per aprirsi il dominio di tutta l'Italia centrale. Con danaro e promesse trovò in Bologna chi si diede a propugnali il suo partito ed a cospirare per dargli la città. Ma la trama venne dai magistrati scoperta e puniti col patibolo i principali suoi promotori e col bando gli altri. Per rappresaglia Gian Galeazzo bandì dai suoi Stati quanti Bolognesi per affari oper altra ragione vi avevano residenza e preparò lance e cavalli per la guerra. Gli avvenimenti, e sopratutto il contegno risoluto dei Fiorentini, ben determinati a non lasciarsi imporre nè inghiottire dalla ambizione del Visconti, lo condussero a mutar parere e venire a trattative di pace, della quale anche Bologna fu avvantaggiata. Come tutte le paci di quel tempo anche questa non fu duratura. Troppa era la fretta di Giovanni Galeazzo Visconti di compiere l'ambizioso suo sogno perchè potesse aceoneiarvisi; troppi gli interessi e le libertà che venivano lese dalla egemonia di costui, perchè le repubbliche ancora indipendenti non avessero a ribellarsi. Firenze e Bologna specialmente facevano da antemurale all'allargamento della potenza viscontea nell'Emilia ed in Toscana. Perciò su queste due città si acuiva tutta la rabbia del potente signore di Milano. L'avere
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