Bologna
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Il legato, affidando il governo della ricomprata Bologna al proprio nipote Velasco Fernando? ed a Nicola Farnese, capitano delle truppe pontificie, a cattivarsi il favore popolare diminuì tosto le gabelle, tolse le taglie imposte dall'Oleggio, ristabilì su Bologna il governo comunale, com'era dianzi, prima che la città perdesse la libertà; permise il rimpatrio dei fuorusciti, onde i Pepoli, i Bentivoglio, i Yezzoni, i Maltra-versi, i Gozzadini ed altri che militavano con Bernabò Visconti, abbandonarono le armi per ritornare in patria. Inoltre l'Albornoz, avvisando Bernabò che Bologna era ritornata sotto la protezione della Chiesa, gli intimava di ritirare le truppe che ancora erano nel territorio bolognese e romagnolo. Bernabò rispose mandando nuove truppe che devastarono tutto il territorio bolognese, portarono la mina fin presso alle mura di Faenza, sorpresero Forlì, assediarono Cento ed occuparono Budrio.
La guerra sostenuta dalPAlbornoz contro Bernabò Visconti fu lunga ed ostinata e fu in quella circostanza che d legato chiamò in aiuto un grosso corpo d'Unga ri guidati da un loro duca, Simone della Marta, i quali, dediti al saccheggio, alla rapina, all'indisciplina — per quanto si dicessero ferventi cristiani e combattessero in prò' della Chiesa nell'intento di santificarsi — furono più di danno che di giovamento all'impresa del legato. 11 quale spese la sua energia, la sua singolare attività, il suo ingegno a risollevare il prestigio della Chiesa assai decaduto in Italia ed a creare Leghe e barriere contro il minaccioso allargarsi dell'influenza e della potenza dei Visconti in Italia. A questo prelato spagnuolo, diventato italiano d'adozione, si deve in parte la risoluzione presa da Urbano V d'abbandonare Avignone — diventata, al dire di Petrarca e di tutti gli storici contenipoianei, satura d'ogni vizio e corruzione — per restituire la sede pontificia a Roma. L'Albornoz, colle sue Imprese militari e la sua attività polìtica, ricostituì al pontefice uno Stato pressoché disfatto e che un più lungo allontanamento dalla Corte pontificia da Roma avrebbe irremissibilmente perduto.
Al cardinale Albornoz, oltre la rinnovata libertà, Bologna deve la benefica fondazione del Collegio di Spagna, uno degli istituti educativi che per cinque e più secoli hanno maggiormente onorata la città. L'Albornoz morì in Viterbo nel 1507 al 24- di agosto fra il generale rimpianto della Corte romana, di cui aveva fortemente contribuito a risollevare il prestigio, e delle popolazioni che furono sottratte a piccole ed odiose tirannidi.
Morto l'Albornoz, sembrò a Bernabò Visconti venuto il momento propizio per tentare la riconquista del Bolognese e delle altre terre di Romagna, che il famoso legato aveva sottratte al governo dei Visconti, e nuove truppe sono mandate a tale effetto nell'Emilia. La campagna è lunga, penosa, dibattuta con alterna fortuna da ambe le parti. Per questa guerra e per l'avidità dei legati, in gran parte francesi, e per il continuo passaggio delle compagnie di ventura, fra le quali in quel periodo cominciò a prendere terribile rinomanza quella condotta dall'inglese Ilawhwood, detto VAcuto, le condizioni del paese erano tristissime. Nò diverse erano quelle della Toscana, regione già ricca e floridissima, taglieggiata senza pietà dai legati della Chiesa e dagli avventurieri armati che questi tenevano al loro soldo.
Laonde, venuti i Fiorentini col proposito di scuotere quella protezione della Chiesa che era diventata quivi più di danno che di vantaggio, mandarono emissari a Bologna ove il malcontento era più grande, perchè ivi si facesse altrettanto. Non furono sordi i Bolognesi all'invito, tanto più che recenti devastazioni del territorio ed il feroce saccheggio ai castelli di Bagnacavallo e Castrocaro avevano fortemente eccitati gli animi. Il più ragguardevole cittadino di Bologna in quel tempo era Taddeo degli Azzoguidi, ed in sua casa, nella notte dal 19 al 20 marzo 1376, si radunarono, convocati da lui e da Roberto Saliceti, tutti i capi delle fazioni ed i cittadini più autorevoli. Giurarono tutti di obliare le antiche inimicizie e di dare, ove il bisogno della patria lo richiedesse, vita ed averi, pur di ricuperare l'antica libertà. Ugolino di Pernico, il conte