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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Bologna
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1900, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   188 l'arte* Terza — Italia Centrale
   stava assai più a cuore di trarre alla sua causa i Fiorentini ed il signore di Milano, tenuti allora come i più potenti d'Italia.
   La Repubblica di Firenze certo non aveva ragiono d'essere contenta de' Pepoli» i quali avevano mancato a tutti gli obblighi contratti verso la Repubblica dai Bolognesi. Perciò la Signoria rispose agli ambasciatori di Giacomo, che l'onore e l'animo non le consentivano di prendere le armi contro la Chiesa in favore di un usurpatore e che tutto quanto essa poteva fare per lui e per suo fratello era d'interporsi per riconciliarli col conte di Romagna; ma in pari tempo aggiungeva, che se si fosso trattato di difendere gli antichi suoi alleati, ì cittadini della Repubblica di Bologna, non avrebbe risparmiato nò sangue nò tesori per assicurare la loro libertà. Questa dichiarazione fatta agli ambasciatori ni pubblica udienza fu ben tosto portata a Bologna, e sembrava giunto pei Bolognesi il momento propizio per scuotere un giogo odioso: «Ma—dice « Matteo Villani — i Bolognesi, di già avviliti da servili abitudini, più degni non erano « della libertà; i loro peccati gliela avevano fatta perdere; la loro povertà di spirito « impedì loro di ricuperarla
   Vi fu però un momento, quando dal popolo bolognese si seppe della risposta di Firenze e dell'eccitamento da questa venutogli a riacquistar la propria libertà, in cui il fermento contro i Pepoli si fece minaccioso assai; ma i Bentivoglio, grandi fautori dei Pepoli, coi quali s'erano imparentati e dei quali forse presentivano la successione, fecero di tutto per calmare gli animi, rappresentando i pericoli della ribellione, il sovvertimento delle sostanze, le violenze dei soldati, il danno di lina invasione straniera. Ma, appuntò la soinmessione dei Bolognesi, non li salvò da alcune di quelle calamità dai Bentivoglio rappresentate come immediate conseguenze di uno sforzo generoso dei cittadini per abbattere la tirannia. Giacomo de'Pepoli aveva assoldato il famigerato avventuriero, duca Guarnieri, con 500 cavalli, ed il Visconti di Milano gliene aveva mandati altri 500. Il Guarnieri, oltre delle paghe convenute, volle che gli fosse data in balìa della sua soldatesca tutta intera una via della città ed alloggio ai suoi soldati in quelle case, facendoli padroni di tutto, come se la città fosse stata presa d'assalto od avuta a discrezione. Dal canto suo il Durfort devastava colle sue truppe le campagne lino alle porte della città; dimodoché i Bolognesi erano ad un tempo spogliati e dagli amici e dai nemici.
   La città non avrebbe potuto reggere a lungo in sì critiche circostanze; senonchè il Durfort, in arretrato di paghe per la sua gente, dovette rilasciare Giovanili de' Pepoli, verso una taglia di 80.000 fiorini e nello stesso tempo, per uscire da quell'impresa, forse superiore alle sue forze, diede ascolto alle proposte di pace avanzate dai Fiorentini nell'interesse di Bologna. Proponevano gli ambasciatori di Firenze, che la città dovesse ritornare sotto la protezione della Chiesa, ma rimessa in libertà fosse governata dal popolo come in antico; che pagasse a San Pietro il consueto tributo e in segno di soinmessione il conte di Romagna fossevi accolto con poca scorta e che la riforma dell'amministrazione si eseguisse sotto la Italia dei Fiorentini. Il conte e i Pepoli, egualmente delusi nelle loro speranze e pretensioni, mostrarono di aderire a tale accomodamento; ma, poiché si furono consigliati coi signori di Lombardia loro amici ed alleati, paurosi di quel risveglio di libertà, Mastino della Scala, che sperava d'occupare egli stesso Bologna, li dissuase da quel trattato; ed il Visconti, che altre mire aveva, ne sconsigliò pure i Pepoli. Costoro, simulando sempre acquiescenza ai patti stabiliti, avevano frattanto fatta la scelta dei cittadini più riputati per amor patrio, per ingegno, ricchezze e nascita, quasi capi naturali del popolo, e li avevano mandati a Firenze per trattare di conserva con quella Repubblica sul modo di ristabilire la libertà bolognese. Riccardo Saliceti, capo di quell'illustre ambasceria, rese alla Signoria fiorentina, in presenza del popolo radunato, le più vive grazie per la liberazione della sua patria e promise, in nome dei Bolognesi, eterna riconoscenza per il massimo dei