Bologna
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all'infierire della reazione guelfa, clic trovò il suo punto acuto tra gli ultimi anni del secolo XIII ed i primi del XIV. Solo, che nella trasformazione inevitabile delle cose, agli antichi nomi dei Geremei e dei Lambertazzi, indicanti 1 capi delle opposte fazioui, se ne erano sostituiti altri; altre famiglie patrizie e di maggiore audacia, nelle continue turbolenze, si erano fatto largo: tra queste la famiglia dei Pepoli, che, destreggiandosi fra le fazioni, s'era — sullo scorcio del secolo XIII — già conquistato un posto eminente nelle faccende del Comune. Per reazione l'ingrandimento di questa famiglia suscitò gelosie ed odii in altre che si credevano umiliate o menomate nei loro diritti; grandi lotte dapprima latenti poi palesi e l'infierire di due fazioni: la Scacchiera, che teneva pei Pepoli, i quali portavano lo scudo fregiato a scacchiera, e la Maltraversa, dalla famiglia guelfa che capitanava la corrente avversa ai Pepoli, Ghibellini. Per tradizione e per sentimento la maggioranza dei Bolognesi era guelfa, onde a lungo andare il partito dei Pepoli ebbe la peggio. Romeo De Pepoli ed i suoi figli, in un rovescio di fortuna, insieme ai loro più ardenti fautori, furono cacciati in bando dalla città. Romeo mori in esilio ; ma i suoi figli trovarono appoggio nella Lega dei Ghibellini Lombardi, che, formata da Cane della Scala signore di Verona, Passerini De Bonaccorsi signore di Mantova e di Modena ed Azzo Visconti, futuro signore di Milano, di ritorno da Lucca, ove aveva presi accordi con Castruccio Castracane, valorosissimo capo dei Ghibellini toscani, amico e grande speranza di Dante per la risurrezione del partito, mosse contro Bologna (1325), nel proposito di costringerla a riprendere i fuorusciti ghibellini, reintegrandoli negli averi, nelle cariche, nei diritti e privilegi già goduti. Sebbene sconsigliati dai Guelfi di Firenze, che scontavano la rotta di Altopascio inflitta loro da Castruccio e volevano guadagnar tempo per rinfrancare — senza ulteriori disastri — il loro partito, i Guelfi bolognesi accettarono la sfida ed il 15 novembre di quell'anno offrirono battaglia ai Ghibellini della Lega allo falde del Monteveglìo.
Quantunque le forze dei «lue eserciti a numero si compensassero, pure la vittoria rimase ai Ghibellini collegati, che disponendo di minore contingente di fanti, soprav-vanzavano nel numero dei cavalli, ed i Bolognesi, dopo aver pugnato ostinatamente tutta la giornata, dovettero ritirarsi in città, lasciando morti sul campo — se gli storici non esagerano — 500 cavalieri, 1500 fanti e nelle mani dei nemici un numero grandissimo di prigionieri, fra i quali Malatestino da Rimini, loro podestà e capitano, e molti ragguardevoli cittadini. Primo impulso dei Collegati Ghibellini, dopo sì strepitosa vittoria — che faceva bel contrapposto a quella di Altopascio in Toscana — fu di assediare Bologna. Ma dovettero convincersi che l'impresa era più ardua di quanto credevano e dopo qualche giorno si ritirarono col bottino fatto a Monteveglio. Fu un momento di ribasso per la parte guelfa, stretta in Toscana ed in Lombardia da poderosi nemici. Fu allora che, invocato dai Fiorentini, venne il duca di Calabria, figlio a Roberto d'Angiò re di Napoli, mentre Bologna, più da vicino minacciata dai signori ghibellini di Lombardia, per non restare sprovvista di aiuti al pari di molte altre città guelfe, si diede alla Chiesa ed il giorno 8 febbraio 1327 ricevette il cardinal-legato Bertrando del l'oggetto, accettandone in nome del papa la signoria. Sulle prime ogni cosa andò lisciamente; ma poi Bertrando del l'oggetto, trovandosi bene in Bologna e meditando d'assicurarsi la signoria di si bella ed opulenta città, cominciò a gittare le fondamenta d'una fortezza o castello — per tenere all'occorrenza il popolo in rispetto — dando ad intendere, mentre la fabbrica si compiva, che il papa, stanco del soggiorno di Avignone, anelava ritornare in Italia e soggiornare in Bologna, finché gli avvenimenti non gli avessero consentito di ritornarsene a Roma; perciò egli costruiva quella fabbrica onde dare al pontefice'ed alla sua Corte opportuno e sicuro alloggiamento. Ma come le mura della fortezza furono alte in modo da resistere, l'astuto legato le riempie di soldati provenzali e stringe le libertà della
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