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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Bologna
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1900, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   J40
   l'arte Terza — Italia Centrale
   Geremei e gli altri Guelfi bolognesi furono da lui sconfitti al ponte di San Procolo, onde la città vedendosi minacciata ed in pericolo di cadere nelle mani dei Ghibellini, i quali non avrebbero certo risparmiate le rappresaglie, chiamò aiuto al re Carlo di Angiò, capo effettivo del guelfisnio. Questi mandò, nel 1276, alcune compagnie di Provenzali con un governatore, Riccardo di Beauvoir, sire ili Durfort. Ma fu provvedimento temporaneo, non duraturo e di efficacia relativa. Ben presto Carlo, per altre bisogne, dovette richiamare i suoi, che d'altra parte i Bolognesi videro partire senza rimpianto, ma anzi con piacere, perchè in fondo quell'ingerenza straniera loro pesava.
   La guerra fra i due partiti continuò più ostinata che mai. I Guelfi tenevano, è vero, la città; ma non avevano forze sufficienti per difendere il territorio, in continua balìa delle scorrerie e degli assalti ilei Ghibellini L'esaltazione al trono pontificio di Nicolò III, di famiglia Orsini, portò un miglioramento a questo stato di cose. Nicolò III, dopo avere nominato conte ili Romagna suo fratello Bertoldo Orsini, vi mandò come legato l'altro suo fratello, il cardinale Latino vescovo d'Ostia, con ufficio di far riconoscere il conte fratello e pacificare la regione. All'uopo il cardinale Latino recossi in tutte le città romagnole col fratello Bertoldo e, poiché era predicatore dell'Ordine di San Domenico, durante la cerimonia di presentazione e d'investitura, egli improvvisava una predica in prò' della pace tanto ai Lambertazzi a Faenza ed a F01T1 che ai Geremei ad Imola e Bologna. Quivi poi, secondo gli ordini avuti dal papa, adunò cinquanta sindaci d'ogni fazione e loro sottopose un progetto d'accomoda mento preparato dallo stesso papa, in forza del quale i Lamia erta zzi e tutti i fuorusciti dovevano essere riammessi in Bologna e restituiti nel pieno possesso di tutti i loro beni. Erano peraltro eccettuati alcuni capi, la presenza dei quali avrebbe potuto ridestare gli adii appena sopiti. Questi, per un determinato tempo, dovevano soggiornare fuori di Bologna, in luoghi che loro assegnerebbe il papa. Tutti i beni e gli averi sequestrati dalle due parti dovevano essere restituiti; le società popolari (primo passo all'estinzione della libertà), ritenute come utili solo ad eccitare lo spirito di partito ed a far nascere le guerre civili — secondo afferma il Ghirardacci — vennero abolite. Infine il papa riser-vavasi il diritto di mantenere, con tutte le pene ecclesiastiche in suo potere, la pace da lui dettata. I negoziati furono lunghi ma abilmente condotti dal cardinale Latino ed anche per il bisogno ed il desiderio che tutti avevano di maggiore tranquillità, approdarono a buoni risultati. Ogni partito fece garanzia colla promessa di 50.000 marcili d'argento; ogni Comune della Romagna aderì parimente al trattato e diede cauzione per una determinata somma.
   11 giorno 4 agosto del 1279, essendo stati conchiusi tutti questi trattati, le due fazioni dei Geremei e dei Lambertazzi. o meglio dei Guelfi e dei Ghibellini bolognesi, si radunarono sulla piazza Maggiore della città, ov'era avvenuta la prima loro battaglia, tutta parata di ricchi tappeti e da ghirlande di fiori e di verzure. Presso alla porta del palazzo del Podestà era eretta una magnifica cattedra coperta di broccato sulla quale andò a sedersi il cardinale-legato, accompagnato dagli arcivescovi di Ravenna e di Bari, dai vescovi di Bologna e di Imola, dall'abate di Galliate e da altri dignitari ecclesiastici pontificalmente vestiti. 11 legato, dopo una predica in favore della pace, rivolta ai cittadini d'ogni partito e condizione, fece leggere le lettere del papa ed il compromesso sottoscritto ed accettato dalle due parti; dopo di che si fecero avanti 50 dei più riputati cittadini d'ogni fazione e giurarono sul Vangelo, in nome di tutti i loro concittadini, di vivere continuamente in buona pace ed amicizia gli uni cogli altri. Il Ghirardacci nomina 138 famiglie ghibelline e 129 famiglie gnelfe di Bologna che sottoscrissero il trattato. I procuratori ed i sindaci delle due fazioni si abbracciarono e la cerimonia terminò con feste popolari in tutta la città.
   Per quanto solennemente giurata, la pace non fu duratura; gli antichi odìi momentaneamente assopiti riapparvero al complicarsi della situazione politica generale d'Italia,