Bologna
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l'odio dei nobili, alcuni dei quali, perchè trasgressori alle leggi, fece appiccare alle finestre dei loro palazzi. Tentò anche di sottomettere alla città le ville, i castelli, le borgate del territorio romano, di cui si erano indebitamente impossessate le famiglie patrizie, e fronteggiò il pontefice medesimo, Innocenzo IV, voltatosi tutto ai nobili, perchè alla sua autorità dava ombra l'energico senatore bolognese ed il favore da questi conquistato nel popolo. Simile stato di cose non poteva durare a lungo: una sedizione organizzata dalla famiglia degli Annibaldeschi e da altri nobili, riuscì ad impadronirsi del senatore che, portato via dal Campidoglio, fu imprigionato nel Castel Sant'Angelo. Il papa e tutto il partito dei nobili gli furono contro ed il nuovo senatore, Emanuele de' Maggi, ebbe incarico d'intentargli il processo, che sarebbe terminato con una condanna capitale. Branca leone però, al primo sentore della rivolta, aveva mandata la moglie a Bologna ad avvisare il Senato e ad ottenere che fossero strettamente custoditi gli ostaggi dei Romani e mandati ambasciatori a Roma per chiedere la sua libertà. Invano il nuovo papa Alessandro IV rappresentò ai Bolognesi che il magistrato che essi domandavano cadeva in sospetto d'essere parziale di Manfredi, figlio e successore del loro nemico Federico II; invano lo dipinse quale caldo ghibellino, indegno affatto della protezione di così zelanti Guelfi; i Bolognesi furono così fermi e costanti nel difendere la libertà e la vita di quel loro concittadino che rifiutaronsì, ad onta della minaccia d'interdetto, di mettere in libertà gli ostaggi romani; sì che i nemici di Branca leone dovettero cedere e rilasciarlo libero. A Firenze egli sottoscrisse la rinunzia alla carica: il che non impedì che due anni appresso, richiamato dal popolo, la riassumesse, mostrandosi in questo suo secondo reggimento più severo verso i nobili ed il papa che non nel primo, e morendovi perciò compianto e grandemente onorato da tutto il popolo.
Nello stesso sviluppo della potenza e della prosperità della Repubblica comunale di Bologna, come del resto parallelamente avveniva nelle altre città d'Italia, si manifestavano i germi delle discordie intestine che insanguinarono le vie della città e precipitarono grado a grado la libertà. Il Ghirardacci fa risalire le cause delle discordie cittadine al romantico e tragico caso di Bonifacio Geremei e di Imelda Lambertazzi : l'uno appartenente alla famiglia che capitanava i Guelfi, l'altra a quella che capitanava i Ghibellini, cosa che ha molti punti di riscontro con quella degli amanti di Verona, Romeo e Giulietta. Il giovane Bonifacio, sorpreso dai Lambertazzi nella camera della sorella durante un convegno amoroso, fu trapassato con pugnali avvelenati. La giovane donna, credendo di salvare l'amante succhiando il veleno dalle ferite, ne morì essa pure. Per tale fatto le due fazioni furono in armi e l'odio loro non potè più essere contenuto dalle leggi della patria. I Geremei fecero alleanza coi Modenesi ed i Lambertazzi coi Faentini ed i Forlivesi, nemici tutti di Bologna, volendo ognuna delle fazioni trarre anche la patria nei loro rancori.
Un giorno i Geremei condussero sulla pubblica piazza il Carroccio in segno di sfida ai nemici e di minaccia d'una loro spedizione contro le città della Romagna alleate ai Lambertazzi. Questi, senz'altro attendere, assaltarono i nemici. Per quaranta giorni le due fazioni si azzuffarono continuamente sulla pubblica piazza ed intorno ai palazzi turriti e fortificati dei capi parte. Alla fine il sopravvento rimase ai Geremei, che, abusando della vittoria, mandarono in bando non solo i Lambertazzi ma i loro amici e tutto il partito ghibellino. Dodici mila cittadini furono perciò costretti ad esulare: le loro case saccheggiate ed atterrate, i loro beni confiscati (1273). Ciò 11011 fece che attizzare gli odir già grandi. I Lambertazzi si rafforzarono nelle città di Romagna, ove eransi ricoverati, specialmente in Forlì ed in Faenza. I Ghibellini, dopo la tragica fine degli Svevi, perseguitati in ogni parte d'Italia, si raccozzarono intorno ai Lambertazzi. Il conte Guido di Montefeltro si pose alla loro testa, acquistando riputazione così di grande capitano e di speranza del partito ghibellino. Due volte, nel 1275, i