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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Bologna
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1900, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Bologna
   101
   concedere ad Enzo la libertà, per grandi che fossero le offerte o le minacele dell'imperatore suo padre. In pari tempo il Comune si obbligò a provvedere nobilmente a tutti i bisogni dell'illustre prigioniero, al quale assegnò per dimora un palazzo attiguo ali allora, da poco sórto palazzo del Podestà, ove ebbe servi numerosi e principesco trattamento. Con debita scorta di cavalieri bolognesi, all'uopo designati dal Comune, al principe prigioniero fu pur concesso in date ore del giorno di passeggiare e cavalcare per la città e di assistere agli uffici religiosi ed ai pubblici divertimenti» Pena di morte se avesse tentata la fuga, o per ehi si fosse prestato ad agevolargliela.
   Non tardarono a giungere le proposte e le mimiccie di Federico II per indurre i Bolognesi a rilasciargli in libertà il figlio. E conservata alla storia la lettera di Federico stesso ai Bolognesi, nella quale, ricordando loro le vicende alterne della fortuna, li ammonisce a non imbaldanzire troppo e chiede loro il figlio, minacciandoli, in caso di rifiuto, di tutto il suo sdegno. Ma discutendosi nel Consiglio di Credenza la risposta da darsi al messaggio imperiale, ancora per una volta Rolandino de' Passeggieri, rettore della Corporazione dei Notali, con fiere parole propugnò il rifiuto ad ogni proposta, come il disdegno ad ogni minaccia dell'imperatore: partito al quale ferinamente si attenne il popolo bolognese. Enzo rimase quindi prigionie]* di Bologna per 22 anni, prigionìa addolcita dai riguardi di ogni specie che il Comune gli aveva e dalle visite che nobili e gentildonne bolognesi gli rendevano ogni giorno. Tanto che il principe, sul quale si erano maggiormente addensate le speranze del padre e del partito ghibellino italiano, inori di languore misantropico e pel dolore di assistere inerte ed impossibilitato a porvi riparo alla rovina di Casa Sveva e dei Ghibellini in Italia, precipitata col disastro e la morte di re Manfredi a Benevento e di Corradino sul patibolo a Napoli.
   Assicurato bene il cospicuo prigioniero e dato riposo alle truppe, il podestà Filippo degli Ugoni, sui primi di settembre di quel medesimi anno, portò di nuovo la guerra a Modena, nel tempo stesso che l'arnia accingevasi ad assaltare Reggio, dichiaratasi pur essa ghibellina. La disfatta della Fossalta, avendo completamente scompaginate le forze dei Ghibellini nell'Emilia ed in Lombardia, essendo impossibile lo sperare soccorsi dall'imperatore già ammalato, accorato per la prigionìa del figlio, per le persecuzioni di Itoma e pei continui rovesci di fortuna, i Modenesi dovettero da soli e colla gente raccolta nel contado accingersi alla difesa contro un nemico tanto più forte quanto era anche imbaldanzito dalla precedente clamorosa vittoria e dagli aiuti in uomini ed in moneta ricevuti da ogni parte ove i Guelfi erano in fortuna. Tuttavia non si perdettero d'animo ed approntate le mura alla difesa, circondata la città di fossati, si rinchiusero decisi di sopportare un lungo assedio ed opporre una disperata resistenza piuttostochè abbandonare la loro patria al nemico. I Bolognesi bloccarono infatti la città e sì diedero tosto, com'era uso, a devastare il territorio circostante, onde impedire agli assediati di approvvigionarsi. Per qualche tempo vi furono tentativi di scalata delle mura da parte dei Bolognesi, sempre respinti dagli assediati: sicché le cose andavano per le lunghe, oltre il previsto dei Bolognesi, che appressandosi la brutta stagione avrebbero desiderato ritornare alla loro città. Perciò, volendo provocare i Modenesi ad una fazione decisiva, mediante una catapulta lanciarono nella città la carogna d'un asino ferrato 111 argento, la quale andò proprio a cadere sulla piazza maggiore della città, presso alla fontana pubblica allora ivi esistente. A tanta ingiuria i Modenesi risposero con una vigorosa sortita, per la quale, rotte le file degli assediami, giunsero fino alla macchina che aveva servito allo sfregio e fattala a pezzi l'incendiarono, ritornando trionfanti in città. Ciò indusse i Bolognesi ad avanzare proposto di pace, che dagli assediati furono a lungo discusse e trovatele oneste vennero accettate. Il trattato definitivo fu proposto dal podestà di Modena al popolo di Bologna il 7 dicembre 1249; venne esaminato [lai Maestri delle arti e dal