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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Bologna
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1900, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   J40
   l'arte Terza — Italia Centrale
   Durante l'infelicissima prova fatta dai re cosidetti nazionali, allo sfasciarsi dello Impero carolingio, Bologna ricorda fra le maggiori sue calamità il sacco patito dagli Ungali — chiamati da Berengario dal Friuli a sostegno del vacillante suo trono — nel 902; pel qual fatto parte della città fu incendiata e molti dei suoi più cospicui edtfizi andarono distrutti.
   Dopo questi luttuosi avvenimenti passano lunghi anni di silenzio e di raccoglimento pella storia di Bologna. La città andò lentamente riavendosi da questo disastro, e solo nella seconda metà del successivo secolo comincia a riapparire vigorosa e pronta fra le città emiliane ad adottare le libertà comunali, lentamente preparate e maturate nel periodo che va dall'impero degli Ottoni al tramonto della potenza vescovile, cioè tra la seconda metà del secolo X e la prima metà del successivo. Anche colla scorta del Ghirardacci e del Sigonio, che sono i più accurati fra gli storici e raccoglitori di memorie bolognesi, non è possibile stabilire nella sua esattezza la data in cui cominciò il vero ed autonomo funzionamento dell'istituzione comunale in Bologna, il che lascia supporre che quivi, come altrove, la cosa avvenisse per gradi, per successive conquiste fatte dal popolo, più che per fatti improvvisamente determinatisi. Certo è però che sullo scorcio del secolo XI il Comune bolognese era perfettamente costituito e la città godeva ' del regime popolare. Non è rimasta traccia delle primitive costituzioni del Comune di Bologna: la più antica ò quella che Cherubino Ghirardacci riporta all'anno 1123; il Sisiiiondi la crede una data anticipata di qualche anno. Per tale costituzione l'autorità sovrana in Bologna era divisa fra tre Consigli, i consoli ed il podestà. La città dividevasi in quattro tribù, una per quartiere. Quaranta elettori, tratti a sorte, dieci per tribù, eleggevano, ogni anno, ciascuno nella tribù propria, i cittadini ritenuti degni di formare i tre Consigli Tutti i cittadini giunti all'età di 18 anni erano ammessi al Consiglio generale, esclusi però i minuti artieri e quelli esercitanti vili professioni; il Consiglio speciale era composto di seicento cittadini e quello di Credenza, nel quale avevano sede di pieno diritto tutti i giureconsulti di Bologna, di un numero assai minore. Tutte le determinazioni di qualche rilievo dovevano essere approvate da questi Consigli, ma non si potevano proporre se non dai consoli o dal podestà: occorreva l'assenso di questi perchè un cittadino potesse fare proposte. Il più delle volte le proposizioni fatte dai consoli si dibattevano soltanto da quattro oratori, che avevano l'incarico di parlare ili nome del popolo. Gli altri consiglieri dovevano tacere e dare il loro voto prò o contro con palle bianche e nere.
   A quest'influenza dei magistrati nelle pubbliche deliberazioni la nobiltà, a dispetto d'una costituzione quasi democratica, andò lungo tempo debitrice della conservazione del suo ascendente sulle masse popolari. 11 Ghirardacci non ci disse in qual modo fossero eletti i consoli; ma è ovvio supporre fossero designati dai Consigli. Il podestà eleggevasi nel modo seguente: fra i membri del Consiglio generale e del Consiglio speciale estraevansi i nomi di quaranta cittadini, che venivano racchiusi insieme in apposita aula. Sotto pena di perdere il diritto d'elezione questi cittadini dovevano, nel termine di ventiquattr'ore, avere fatta la nomina, colla maggioranza almeno di ventisette voti. Talvolta i Consigli indicavano agli elettori la città dalla quale dovevasi chiamare il podestà. Questo magistrato non poteva scegliersi fra parenti di alcun elettore, fino al terzo grado ; non doveva possedere beni stabili nel territorio del Comune, doveva essere nobile, non avere età minore di 36 anni e godere buon nome. Fatta la scelta scrivevasi a nome del Comune all'eletto, invitandolo a prendere possesso della carica che gli era offerta ed accettare l'onore che la Repubblica gli faceva.
   Il Ghirardacci aggiunge che i consoli ed i podestà governavano la Repubblica ora a vicenda ora di conserva e che il podestà aveva la stessa autorità dei consoli, più le insegne dell'impero, cioè il cappello, lo stocco e Io scettro e che dallìtsare queste insegne di potestà venne ai pretori — come sembra che preventivamente tali magi-