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l'arte Terza - Italia Centrale
Nel secolo XYI, riaffermatosi definitivamente in Bologna la dominazione pontificia e sottoponendosi gli studi, specie dopo le ristrettive promulgazioni del Concilio di Trento, tendenti a far argine al dilagare della Riforma ed a frenare lo spirito d'esame che il rifiorim&nta degli studi classici nella seconda metà del secolo XY e l'arte paganizzante del periodo di Leone X aveva svegliato negli animi, si pensò di disciplinare l'Università, tanto nei suoi ordinamenti quanto nelle materie che vi si insegnavano, per modo che l'autorità politico-ecclesiastica dei legati potesse avervi sopra un efficace controllo. Fu allora che si pensò di riunire le varie scuole in un sol corpo e di passare allo Studio una sede stabile.
Abbiamo già detto che i primi glossatori — i fondatori dello Studio bolognese — da Irnerio in poi tenevano le loro lezioni o nelle stesse loro case o nelle chiese o nei conventi od in qualche aula pubblica. Ma ciò saltuariamente, senza regola fissa. Più tardi, quando tra il secolo XIV ed il XV, l'Università bolognese ebbe preso il suo massimo sviluppo, le lezioni si tenevano separatamente da ciascun docente in aule speciali accordate ed affittate dal Comune, nel maggior numero site lungo la via di San Marno!o (ora via Azeglio). Ciò dava un'assoluta indipendenza o libertà a ciascun docente, che nella sua scuola era padrone di dire ciò che più gli piaceva e magari, come faceva Antonio Urceo, criticare aspramente la Corte romana, metterne in burletta i vizi e spingere l'esame e la critica sui dogmi. Ma non poteva piacere, certo, al governo di Roma diventato padrone di Bologna.
La creazione del palazzo dell'Archiginnasio per raccogliervi tutto lo Studio fu, sotto molti rapporti, un benefizio per questo; ma per parte della Curia romana fu un benefizio alquanto peloso. Riunite in un locale di pertinenza dello Stato, sotto la immediata sorveglianza del cardinal-legato e dei suoi dipendenti e referendari, tutte le. scuole, riesciva più agevole il controllo voluto dalla Curia romana sulle materie d'insegnamento, sulle opinioni propalate dai docenti, sulle tendenze e la condotta degli studenti. Fu una compressa applicata con molta arte, ma con sicuro risultato, alla libertà degli studi di diritto, filosofici, letterari, conseguenza dei quali è quella di svegliare tendenze alla critica, alla discussione, alle nuove speculazioni del pensiero, urtanti troppo facilmente contro la rigidità da non discutersi dei canoni e dei dogmi ecclesiastici. Da ciò un vero regresso, un decadimento nella coltura generale, l'adozione di una specie di panacea giuridico-letteraria, di un monco formalismo sulla base e sui metodi d'insegnamento, che fecero da controvapore al luminoso sviluppo intellettuale italiano dal secolo XV alla prima metà del secolo XVI. Gli studenti ed i professori per forza si acquetavano ai nuovi metodi; chi voleva saperne o dirne di più, gli insofferenti — che non erano pochi — dovevano esulare dove più libere erano le facoltà del dire, dell'ascoltare, del criticare, a Padova—diventata veneta—ed all'estero, in Germania ed m Inghilterra.
Mentre, tra il secolo XVI ed il XVII, si va segnando insieme al riunirsi delle scuole in un solo corpo e dello Studio in una sede stabile, una grande depressione negli effetti degli studi cosidetti liberali, letterari, filosofici, troviamo per contrapposto una fase ascendente per la scuola medica ed anatomica, per le scienze naturali e positive che nello Studio bolognese trovano, tra la seconda metà del secolo XVII e quasi tutto il secolo XVIII, un attivissimo ed importante focolare di espansione, non secondo ad alcuno in Italia e gareggiante sempre coi primari dell'estero.
Non è a credere che l'insegnamento di queste scienze e sopratutto delle mediche, per le quali, tra la fine del secolo XVII ed il principio del successivo, l'Università bolognese ebbe, ad opera particolarmente di Marcello Malpighi, un periodo di luminosa rinomanza, fosse cosa d'importazione o di recente stabilita. No. L'insegnamento della