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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Bologna
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1900, pagine 272

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Bologna
   101
   Molti sono i passi del divino poema ed 1 nomi di persone e di luoghi, di costumanze e perfino di forme dialettali bolognesi, che accennano alla lunga permanenza di Dante in Bologna ed alla sua perfetta conoscenza della città e dell' ambiente, un poco maldicente e sboccato, della scolaresca. Il suo afletto per Guido Guinicelli, che egli chiama padre suo e di quanti mai
   Rimo d'amor usar dolci e leggiadro
   è riflesso del suo animo giovanile di poeta, entusiasta pel gentile poeta bolognese, che poetava appunto in quel tempo nel quale si presume che Dante studiasse 111 Bologna; l'accusa che egli fa a Francesco d'Accorso di praticare un vizio nefando e un'eco forse dello maldicenze dei discorsàcei degli studenti; il ricordo di Venedico Caccianimico, che indusse per danaro la sorella Ghisola alle voglie del marchese Obizzo d'Este, prova che Dante era al corrente dei fatti e delle dicerie bolognesi più minute, riferentisi al tempo appunto nel quale egli poteva frequentare lo Studio: e meno è a supporre che di queste cose egli sia venuto a cognizione dopo il priorato e nel tempo della sua sventura e dell'esilio, essendo ben noto l'itinerario di Dante 111 questo periodo e sapendosi dove ha scritto le tre cantiche dell'immortalo poema, così dense dei ricordi e delle impressioni ora liete, ora tristi della sua vita. Oltre dei continui ricorsi a persone, a fatti, a nomi, a consuetudini della vita bolognese nel secolo XIII che si trovano nel poema dantesco e che solo una prolungata dimora in quella città ed una perfetta conoscenza di quell'ambiente potevano generare, abbiamo anche le testimonianze di più antichi ed autorevoli commentatori di Dante, Benvenuto da Imola e Boccaccio — quasi contemporanei suoi — che erano più in grado di dire il vero al loro tempo, che non altri di oppugnarlo al nostro. E Boccaccio scrive: «Egli, siccome a luogo più fertile del cibo che '1 suo alto intelletto desiderava, a Bologna andatone 11011 piccini tempo vi spese ». L'Arrivabene, nel prezioso suo « Secolo di Dante », nota la circostanza che, nel 1305, Dante tolse il tìglio primogenito Pietro, da Siena, per condurlo a più gravi studi in Bologna, il che, forse, non avrebbe fatto se egli non avesse ben conosciuto l'ambiente bolognese e non vi avesse avuto persone amiche a cui affidare il figlio giovanetto, alla cui educazione egli non poteva vegliare nella vita nomade ed agitata che le turbinose vicende del tempo e della sua parte gli costringevano condurre. Infine, egli termina i suoi giorni nella quieta ed ospitale Ravenna, poco luugi da Bologna, leggendo retorica nello Studio di quella città. E proprio negli ultimi giorni di sua vita un amico, Giovanni del Virgilio, con affettuose parole, lo chiama a Bologna ad uguale ufficio, perchè la sua profonda parola scuota i giovani, « che di già lo amano ». Ed egli, già affranto dalle fatiche e dai dolori, assai più che dagli anni, si scusa di non potere andare. « Ne lo trattengono gli amici di Ravenna, i nemici di Bologna ».
   Ed appena era morto Dante che un altro grandissimo italiano, Francesco Petrarca, sentì il bisogno di abbeverarsi alle fonti del sapere nello Studio di Bologna, che frequentò dal 1323 al 1326. Sulla dimora di Petrarca in Bologna e sulla sua frequenza alle lezioni di quei dottori non può cader dubbio. Egli stesso lo all'erma nella lettera Ai posteri, che è la sua autobiografia. « Mi mossi per Mompellieri — egli scrive — ove intrapresi e per quattro anni continuai lo studio delle leggi: passata quindi a Bologna vi stetti altri tre anni e tutto ebbi percorso il Corpo del diritto civile, dando di me, siccome molti stimavano, speranze grandissime se quella carriera avessi continuato ». E se si vuole un'idea del concetto in cui egli teneva lo Studio di Bologna si leggano queste parole della sua lettera al fratello: « Solevano gli antichi, specialmente prima che Roma alla gloria delle armi e dell'impero quella pur delle lettere avesse congiunta, andare per gli studi loro in Atene ; a' tempi nostri si va a Parigi o a Bologna. E tu ben rammenti come noi pure v'andammo e coinechò indarno ne