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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Ancona Ascoli Piceno Macerata Pesaro e Urbino
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1898, pagine 415

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Urbino
   309
   che non altrimenti che per forza d'armi e dopo lunghi e faticosi contrasti riuscì Boa-conte a ridurre la città in sua soggezione, difendendo risolutamente gli abitanti la loro indipendenza. E non riuscendo Bonconte a sottometterli con le forze proprie, ricorse agli aiuti dei Riminosi, i quali, per alcune convenzioni stabilite, erano obbligati di aiutarlo, avendoli egli aiutati pel possesso di Sant'Arcangelo. Alla line gli Urbinati si sottomisero nel 1234 e riceverono il conte per loro signore. Ma assoggettatisi, Bonconte, sotto pretesto che alcune cose del trattato dovevano definirsi dall'imperatore, non eseguì la pattuita restituzione di tutti gli ostaggi datigli dagli Urbinati, onde i Cesellati, che avevano pei questo prestato cauzione, li trassero a viva forza da Forlimpopoli ove erano ritenuti e li resero al Comune di Urbino. Questo fatto fece nascere gravi torbidi in Romagna; ma Bonconte finì di prevalere con la forza e gli Urbinati dovettero assoggettarsi al suo dominio.
   Bonconte morì in Urbino nel 1241 e lasciò la signoria al figliuol suo. Era questi Montefeltrano o Montefeltrino novello e fu costante seguace della parte ghibellina, come il padre. Dedito alle armi, ebbe buon nome di capitano. Recossi 111 Sicilia ad aiutare la parte imperiale e fu creato cavaliere e condottiero d'armi. Nel 1249, piegando in basso la fortuna degli Svevi e ravvivandosi in Romagna la fazione guelfa, per opera di Malatesta da Verucchio, ì Ghibellini ripararono in Urbino presso ili lui Quindi, sino da allora vedonsi i Montefeltro sostenitori, anzi capi dei Ghibellini della Marca e di Romagna. Montefeltrano tenne la signoria dal 1241 al 1255.
   Successegli Guido, prode capitano, il quale con iscelta compagnia si presentò, nell'anno 12G8, in Pisa, a Corredino di Svevia, incamminato all'impresa di Napoli contro Carlo d'Angiò. Guido raggiunse Corradmo a Roma, ove fu lasciato per difesa dei Ghibellini, venendo eletto ili vicario di Eurico di Castiglia ch'era senatore della città. Vinto Cumulino a Tagliacozzo, Guido, vedendosi presto accerchiato dalle milizie vittoriose di Carlo I e di Clemente IV, raccolte le sue genti si ridusse iu Urbino.
   Nel 1273 lo chiamarono in loro soccorso i Forlivesi; ma glorioso fu perlai l'anno 1275, in cui i Lambertazzi, ghibellini, cacciati di Bologna dai Gcreme:, guelfi, e assediati, in Faenza, tutti i Ghibellini di Romagna si strinsero attorno a lui. E il 13 giugno, venuto a battaglia presso San Procolo, riportò strepitosa vittoria e il Carroccio dei Bolognesi cadde nelle sue mani. Quietarono alquanto le cose di Romagna per l'intervento di Bertoldo Orsini, mandatovi da Nicolò III; ma, riaccesasi la guerra, le forze ghibelline tornarono a prevalere, sotto la condotta di Guido. Martino IV spedì allora il conte d'Appia con l'esercito francese, il quale strinse d'assedio Forlì. Ma Guido che vi era a difesa sbaragliò i Francesi, di cui fece il sanguinoso mucchio di cui parla Dante (1282). Guido fu poi assediato in Meldola dal conte di Monforte. Ma poi perduto San Leo, per aver quegli abitanti acclamato il pontefice assediato in Urbino dal conte d'Anguillaia, abbandonato dagli alleati, carico di anatemi e scomuniche e diminuito di forze, chinò il capo innanzi ad Onorio IV, che gli impose di diroccare le fortezze dello Stato e lo rilegò in Asti.
   Vivevasi Guido in questa città allorché fu chiamato da Pisa in soccorso contro i Genovesi e Fiorentini, e ricuperata l'Elba e molti castelli ai Pisani tornò, nel 1293, in Asti, attendendo sempre a rialzare la parte ghibellina. Sembra che Celestino V assolvesse Guido e lo confermasse nelle investitine dei suoi Stati. Stanco alla fine, si condusse in Ancona, ove vestì l'abito di francescano, nel 1290. Bonifacio VIII lo tolse dal cenobio per affidargli il comando dell'assedio di Palestrina. Guido rifiutò; ma non potè schermirsi dal consigliare a Bonifacio il modo col quale avere la rocca di quella, città, per inganno, giacche por la forza delle armi non bastava. P'amosa è la sua risposta, riportata dal divino poeta nel canto xxvu dell'imeneo;
   Lunga promessa con l'attender corto
   Ti farà trionfar nell'alto seggio.
   176 — Hi«i Patria, voi. 111.