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l'arie Seconda — Alla Italia
pendenza della Valtellina, alla quale è data facoltà di eleggersi i proprii magistrati, di governarsi secondo gli antichi statuti, salvo l'annuo censo di 25,000 scudi d'oro da pagarsi ai Grigioni e salvo l'approvazione da darsi dai Grigioni alla nomina di quei magistrati: approvazione o conferma che peraltro i Grigioni non possono ni negare nò ritardare.
Così la valle rimane per alcun tempo padrona di sè stessa e libera da ogni sol datesca straniera. Ma il buon tempo dura poco. Iniziatasi la gara per la successione al ducato di Mantova, il duca di Nevers che vi pretendeva, spinto dalla Francia, ch'è quanto dire da Richelieu, entra in Valtellina colle truppe colle quali intendeva muovere alla conquista del Ducato, per la valle di Poschiavo e ne esce per i Zappelli d'Aprica — antico passo tra la Valtellina e la vai Camonica — non senza che le sue genti, per approvvigionarsi, facessero scorrerie nel territorio circostante e manomettessero tutto quello che si trovava sul loro passaggio. Per lo stesso motivo, poco dopo, il Collalto, generale degli Imperiali — conducendo quei Lanzichenecchi che seminavano peste e desolazione dovunque passavano — scende nella Valtellina e l'attraversa tutta coi suoi 30,000 fanti ed 8000 cavalli diretti all'assedio di Mantova. Costoro, oltre del saccheggio e della faine, si lasciano dietro, per ultimo ricordo, la peste: la quale dimezzò addirittura la popolazione della Valtellina, non contandosi, nel 1633, in tutta la valle che 54,128 anime.
Nò con questo erano finiti i mali che percuotevano la nobile regione. Scoppiato, nel 1035, un nuovo periodo di guerre tra la Francia e l'Impero — causa e conseguenza sempre le faccende d'Italia — il duca di Poliali, maresciallo di Francia, con poche, ma ben organizzate truppe, rapidamente dall'Alsazia, ove trovavasi, attraversata la Svizzera, piomba nella Valtellina e con truppe francesi e grigione occupa Bormio, Chiavenna ed altri punti principali della valle. Alla loro volta gli Imperiali, guidati dal Fernamont, scendono per il Braulio dal Tirolo, sorprendono a Bormio i Francesi mentre il Serbel-loni, generale degli Spagnuoli, li minaccia nella bassa Valtellina alle spalle. 11 duca di Rolian, seguendo una tattica che rimarrà mai sempre celebre nelle guerre di montagna e che lo mette nel novero dei più abili capitani del suo secolo, con rapidissime mosse per Chiavenna si ritira nell'alta Engadina e di là, con fortuna e celerità meravigliose, sebbene con forze di gran lunga inferiori alle avversarie, precipita inaspettato sui nemici, sconfigge a Livigno (27 giugno) i Tedeschi di Fernamont; li batte di nuovo a Ponte di Mazzo (3 luglio), a Bormio (18 luglio), nella valle di Fraele (31 ottobre) e, sgombra la valle superiore si rivolge all' inferiore, battendo il Serbelloni a Morbegno (9 novembre). Nella tregua forzosa dell'inverno riorganizza le sue forze e s'accinge ad una nuova campagna nella primavera, e per un anno ancora sa abilmente manovrare fra Spagnuoli e Tedeschi, per modo da restar sempre padrone della valle; ma le invidie e gli intrighi di corte avendolo fatto cadere in disgrazia del re, che forse s'aspettava maggiori risultati da quella lunga ed aspra guerriglia di montagna, il Rolian fu richiamato, ed il 5 maggio 1637 abbandonò col piccolo, ma temuto suo esercito, la valle, lasciandola in preda a discordie interne, alle cupidigie degli Spagnuoli e dei Grigioni e ad una miseria inenarrabile. Lunghe trattative diplomatiche si succedono per dare uno stabile assetto alle cose valtellinesi e queste finalmente approdano al Capitolato di Milano (3 settembre 1639), stipulato fra il governatore di Milano, marchese di Leganos, per la Spagna e gli ambasciatoli dei Grigioni, senza il consenso dei valligiani. Questo Capitolato, che fu un vero indegno mercato di popoli, salva la religione cattolica, rimette la Valtellina in podestà dei Grigioni, nelle stesse coudizioni nelle quali essa si trovava prima dei fatti del 1620, cioè della sommossa del Sacro Macello. Giacomo Robustoni ed Azzo Pesta, che si trovavano in Milano per le trattative. respinsero sdegnosamente quei capitolati consacranti un nuovo periodo di oppressione per la loro patria e si ritirarono in volontario esilio, l'uno a Gravedona sul lago di Como, l'altro ad Erbauuo in vai Camonica.