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Parte Seconda — Alta Italia
non perdeva occasione per estendere i suoi dominii di terraferma, mandò il conte di Carmagnola con un certo numero d'armati onde ricevere la dedizione della vallata. Ma i nobili, i Ghibellini valtellinesi assai favoriti dai Visconti e ligi a costoro, capitanati dal famoso condottiero valtellinese Stefano Quadrio, fecero testa all'invasione veneta e respinsero le armi del celebre capitano di ventura, distruggendo eziandio il castello di Tcglio, ove s'erano chiusi i maggiorenti del partito guelfo insieme ai sette fratelli Lazzaroni, che per essere dei più ardenti eccitatori di quella ribellione, furono tutti suppliziati.
Venezia, che non vuole soggiacere all'insuccesso, manda subito per la vai Camonica 3000 uomini, comandati dal provveditore Giorgio Corner; ma i Bormiesi assaltano la pìccola colonna e costringono il capitano veneto ad una tregua (1432). Toco stante il Corner, con altre truppe fatte venire dalla vai Brembana per il passo di San Marco, accampa, trincerandosi fra l'Adda ed il monte, a Delebio, lo assaltano quivi invano le forze di Filippo Maria Visconti, sotto gli ordini di Nicolò Piccinino, celebre capitano di ventura, e di Pietro Bnmaro, parmigiano. Quel primo attacco riesce sfavorevole ai Visconteschi, che sono in inalo modo respinti dai Veneti; ma ali indomani, essendo sopraggiunto Stefano Quadrio col suo corpo di truppe valtellinesi ben pratiche d'ogni recesso della montagna e resistenti alla fatica, il Piccinino ritenta l'attacco e con maggiore fortuna che non nel giorno precedente. La battaglia si fa in breve generale, accanitissima e finisce colla sconfitta del provveditore veneto (novembre 1432). 11 Lavezzari — esagerando certamente nelle cifre — fa ascendere a 5000 i Veneti caduti tn quella battaglia ed a 2700 i prigionieri, fra i quali lo stesso Corner. Il Dolfin, cronista veneziano, dà il merito di questa vittoria ai Valtellinesi, senza l'aiuto dei quali il Piccinino, fin dal giorno prima, avrebbe dovuto ripiegare verso il lago.
Ma più gravi avvenimenti attendevano la Valtellina sullo scorcio del medesimo secolo XV, quando, dopo sanguinose guerre, si piantarono in Lombardia le signorie straniere.
Lodovico XII re di Francia, vantando i diritti di Valentina Visconti, sua avola, sul ducato di Milano, scese in Lombardia e, cacciatone Lodovico il Moro, si impadronì, nel I5(t0, colle anni anche della Valtellina, la quale dovette sopportare per dodici anni la fiscale signoria dei Francesi; però, bandita, nel 1510, da papa Giulio II la Lega Santa contro la Francia, i Grigioni, che sempre avevano agognato di farsi padroni della pingue contigua vallata, penetrano per tre parti in Valtellina e, dando mano a quei valligiani a cacciarne i Francesi, vi sono accolti fraternamente da amici. Di più, nel 1512, liberata la valle dagli stranieri, Grigioni e Valtellinesi si giurano in Teglio eterna amicizia e col patto solenne, detto dei Cinque Cupitoìi, alla Valtellina ed ai contadi di Bormio e di Chiavennaè riconosciuta piena libertà, salve alcune prerogative del vescovo di Coirà, il quale — non immemore delle antichissime donazioni imperiali e di una più recente pretesa donazione fatta da un figlio profugo di Bernabò Visconti alla Chiesa coirense di quei contadi, clic egli diceva tenere in feudo dal padre — vantava sulla Valtellina diritti sovrani. Le cose per alcun tempo andarono di comune accordo fra Grigioni e Valtellinesi: senonchè, quando i primi furono ben sicuri della loro preda, misero fuori l'ugne, ruppero i patti giurati e fecero capire di voler tenere la Valtellina come terra di conquista, da sfruttarsi a piacimento, e non come alleata alla loro piccola Repubblica. Perciò i Valtellinesi vennero da essi privati dei loro diritti, banditi da ogni ufficio, da ogni carica pubblica od onorifica; fiscaleggiati nel modo più avido ed esoso, spogliati di quei commerci che formavano la principale loro ricchezza. Le vicende, cui andava attraversando la Lombardia, non davano agio ai Valtellinesi di sperare, ainto da quelle parti. Ad aggravare i loro mali sopravvenne il famigerato castellano di Musso, il Medeghino, che tentando di impadronirsi per conto proprio della Valtellina, invase colle sue bande di avventurieri senza disciplina di sorta, il territorio fino a Chiavenna