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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Como e Sondrio
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1896, pagine 516

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Parte Seconda — Alta Italia
   degli eccessi da costui commessi in Aquileja, si rifugiassero come in luogo sicuro, inaccessibile a quella furia barbarica, in Valtellina; e vorrebbero derivare da questo fatto i nomi d'alcune località, comuni alla Valtellina e ad altre parti della Lombardia, come: Bufl'alora, Grumello, Masogra, Moncucco, Novate, Berbenno ed altri; ma è opinione questa da prendersi con molta riserva.
   Anche nel periodo medioevale è notte, o quasi, nei fatti della Valtellina; si sa solo, incidentalmente, che Teodorico, re dei Goti e d'Italia, ne dà nel 493, il governo ad un capo della sua nazione; che Carlo Magno spinse fino a questa valle le sue'truppe per dar la caccia agli ultimi avanzi delle forze longobarde, rifugiatesi nella vai Camonica, che sopra Mazzo, od in quelle vicinanze, tra Franchi e Longobardi, avvenne un disperato combattimento con tale strage da una parte e dall'altra, che il luogo il quale ne fu teatro, pel gran numero di morti rimastivi, fu detto Mortirolo: nome ancora vivo. Ma questa è, come tante altre, leggenda ora ben difficile ad accertare.
   Il periodo feudale popola di castelli queste vallate sulle quali vantano diritti la chiesa comacina, l'impero e gli effimeri re italiani, che successero alla catastrofe dell'impero carolingio. Narra il Quadrio, che nel secolo IX i Valtellinesi erano forti ed agguerriti ; tanto che nell'829, sparsasi nella cristianità la notizia che i Saraceni, padroni di Roma, assediavano papa Gregorio IV nella città leonina, un manipolo di Valtellinesi, di Rezi, di Elveti, guidato da un Pusterla (??), volò alla difesa del papa pericolante, determinando la fuga dei Saraceni. Altro fatto da relegarsi fra le leggende non accertabili.
   Complicata è la questione dei diritti accampati da varie chiese sulla Valtellina. — Carlo Magno, che non diede grande valore al possesso di questa regione, ne fece dono all'abbazia di San Dionigi in Parigi ; ma nel secolo nono e nel decimo sorgono contestazioni per diritti sulla Valtellina, fra i vescovi di Gonio, di Pavia, di Milano e l'abate di San Dionigi; contestazioni delle quali si ha sentore in qualche documento antico, ma di cui non si conoscono le soluzioni. Certo è però, che fin dal secolo IX la Chiesa comeuse possedeva il contado, le chiese ed il ponte di Chiavenna, vantando una concessione di Carlo Magno : che Lotario II nel 950 confermava tale possesso; e che Ottone II invece, nel 980, per assicurarsi sempre libero il valico delle Alpi e scendere quando meglio gli piaceva nel regno, sì facilmente conquistato dal padre, assegnò il castello e le regalie di Chiavenna. al vescovo di Coirà; Corrado il Salico, nel 1030, conferma la investitura, cui allarga di altri dominii sulle adiacenti valli.
   Mentre ferveva la lotta tra la Chiesa e l'imperatore Arrigo IV, per l'allora grave questione delle investiture, Arrigo, abbisognante di danaro e di partitanti, tolse questi dominii alla chiesa di Coirà, avocandone a sè il diritto feudale, onde ripartirli poi fra molti suoi aderenti, nei quali è ricordata come potente la famiglia dei Metsch di Val Venosta.
   Si opposero a tale investitura il vescovo di Coirà e quello di Como, protestandosi danneggiati nei loro diritti: e ne seguirono vicende di guerre, tumulti, interdetti, ribellioni, cui tentò di chiudere l'èra la pace del 1150, firmata tra Arduino vescovo di Como ed Artuico di Venosta, secondo un documento giunto fino a noi; ma come tutte le paci di quél tempo ebbe durata brevissima; presto si fu di nuovo alle mani, e solo nel 1220 è segnata un'altra, e più duratura, pace tra la Curia comasca ed un altro Venosta discendente da Artuico.
   Il regime comunale comincia a fare apparizione nella Valtellina verso la metà del secolo XII; un documento del 1155 parla già come di cosa fatta da molto la convenzione tra gli abitanti di Chiavenna e quelli di Piuro, per la quale quattro uomini di ciascuna borgata giuravano di guidare i due Comuni, i beni e le persone loro con buona fede e senza frode in pace ed in guerra; di non usurparsi cosa alcuna e di ripartirsi sì gli acquisti che le spese, nella proporzione di tre parti ai Chiavennesi ed una a quelli di Piuro.