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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Milano
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1894, pagine 547

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Lodi
   4-23
   ritornato in Lodi. Guamcrio d'Umberg, che l'imperatore aveva lasciato suo luogotenente in Lombardia, lo assalì a tradimento, lo condusse a Milano e lo consegnò a Matteo Visconti, che lo tenne prigioniero per lo anni, rendendolo soltanto quando fu morto alla città natale. Fu questo Antonio Fissiraga uno degli uomini più eminenti del secolo XIII e la sua famiglia rimase tino al secolo scorso, in cui si estinse, fra le più illustri della città. — 11 tradimento ordito ai danni del Fissiraga fu per dare la signoria di Lodi ad Arrigo conte di Fiandra, congiunto all'imperatore. Ma la signoria di costui poco durò. Poiché i Vistarmi, appoggiati dai Visconti di Milano, ripresero il dominio della città cacciandone lo straniero.
   Qui si precipita verso il periodo peggiore della storia lodigiana. I Vistarmi ebbero tutti i difetti e nessuna delle virtù dei signori del tempo. La loro tirannide, perchè fondata su basi effimere, instabili, fu sospettosa e crudele: alla legge avendo sostituiti i loro capricci ne nacquero presto malcontenti e disordini. Sozzo Vistarino, avendo recato grave offesa ad una monachella, figlia d'un Tremacoldo mugnaio di sua famiglia e fidatissimo della loro parte, si fece di costui il più fiero nemico e fattore della rovina di sua casa. Perocché una notte, sollevato il popolo già stanco di quella tirannide, il Tremacoldo imprigionò i due Vistarmi, lì fece morire di fame, e proclamatosi vicario del Papa, si diede a governare la città come meglio poteva. Ma fu regno assai breve il suo. I Visconti a Milano, saputa la novità di Lodi, mandarono gente ad accerchiare la città, ed entrativi col favore dei Ghibellini presero il povero Tremacoldo e lo condussero a Milano ove lo tennero in cortese prigionia, affermandosi intanto Azzone Visconti signore di Lodi (1335). Luchino, successore (li Azzone, investì del dominio di Lodi un suo bastardo, Bruzzo, giovane scostumato e crudele, clic riempì la città di scandali maggiori di quelli perpetrati dai Vistarmi, onde fu in breve cacciato a furia di popolo; dopo costui Lodi fu in potere di Giovanni, di Matteo e di Bernabò Visconti, il quale fece ricostruire l'attuale castello di porta Reale: e costui spodestato, fu di Gian Galeazzo primo duca e di Giovanni Maria, suo figlio, dal cui giogo, come quasi tutte le altre città di Lombardia, Lodi si sottrasse. Ebbe così un altro breve periodo d'indipendenza, nel quale abbruciò vivi i discendenti dei Vistarmi che tentavano riprendere il potere; si affidò ad un Fissiraga, uomo buono, ma inetto, e si diede infine a Giovanni Vignati, il quale, avendo coi maritaggi delle figlie contratta alleanza coi Cavalcabò di Cremona, i Rusca di Como, i Malaspina di Pavia, ed acquistata per danaro Piacenza — ove coniò moneta coH'im-pronta dei santi protettori delle due città, Antonio e Lassano — si credette abbastanza forte per risollevare la bandiera del gueltìsmo, in questa parte d'Italia caduta da quasi un secolo: cosa per la quale ebbe felicitazioni dal papa, da Venezia, da Firenze e da tutte le altre città guelfe d'Italia. La fortuna però non lo secondò molto. La venuta in Italia dell'imperatore Sigismondo e la scissura scoppiata nella Chiesa a causa dell'antipapa e di altre controversie, fanno subire alla parte guelfa un grande ribasso. Tuttavia il Vignati cerca di barcheggiare: ed a Lodi accoglie con grande sfarzo l'imperatore Sigismondo e papa Giovanni XXIII, i quali s'accordano: e per far cessare lo scisma il papa indice, per l'anno seguente (1413), il Concilio di Costanza. Questo fu l'ultimo bagliore della fortuna di Giovanni Vignati signore di Lodi e della città. Filippo Maria Visconti, che con arti cupide e feline stava frattanto ricostituendo il dominio di Gian Galeazzo, l'avo suo, volendo impadronirsi di Lodi, fece, a tradimento, prendere dall'al-lora suo fido Carmagnola, il figlio del Vignati e condurlo prigione in Milano, imponendo al padre, per la sua liberazione, patti durissimi.
   Questi fidando nella parola del duca e conte di Virtù, venne a Milano per firmare ì nuovi patti e portare il prezzo del riscatto del figlio. Ma non appena giunto, il duca lo fece legare e lo mandò in una gabbia di ferro d'una torre di Pavia, ove il disgraziato si uccise battendo disperatamente la testa contro le sbarre, il 28 agosto 1416. Nello stesso tempo Filippo Maria faceva occupare Lodi dalle truppe del Carmagnola.