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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Milano
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1894, pagine 547

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   .526 Parte Seconda — Alta Italia
   in città, non ristavano dal rimestare gli animi e solleticando le cupidigie dì Sozzo de' Vistarmi, uomo assai potente e beueviso che fin allora aveva saputo barcheggiarsi fra Guelfi e Ghibellini, senza prendere una parte ben decisa, alla morte di Federigo II assaltarono la città e se ne impossessarono, distruggendo il castello imperiale e commettendo altri eccessi, giunsero a proclamare Sozzo Vistemi governatore di Lodi per dieci anni, a patto però che si dichiarasse per la parte guelfa (1252). Questo principio di signoria non durò clic otto anni, perchè, avendo il Vistarmi dato ricetto in Lodi e protezione a nobili milanesi cacciati da Martino della Torre nel 1259, questi con molte truppe venne a Lodi ed occupò per proprio conto la città, non rendendola a libertà se non quando fu, nel 1267, fra i G uelfi lombardi, giurata in Milano la nuova Lega Lombarda. Non appena la città è libera risorgono le fazioni: Napoleone Della Torre è costretto ad intervenire, scacciando i Sommari va, gli Overgnago ed i Vistarmi, ed innalzando la famìglia dei Fissiraga, del cui guelfismo egli aveva non dubbie prove. In quella circostanza Lodi fu presidiata da due nuovi castelli, l'uno a porta Milano, l'altro a porta Regale ed t Lodigiani, memori del governo mite ed equo dei Torri ani e della pace da questi ricondotta nella città, li sostengono, benché non fortunati, nelle loro traversie coi Visconti, che, spalleggiati dalla nobiltà e da tutti i Ghibellini lombardi, finiscono ad aver ragione dei loro competitori ed a gettare le basi sicure della loro signoria su Milano e contado. In questa circostanza la condotta dei Lodigiani fu giudicata sì giusta e leale, che nella pace stipulata con .Matteo Visconti misero patti onorevoli. e poco stante, coll'approva-zione dello stesso Visconti, due cittadini di Lodi, cioè, Francesco Sonnnariva e Risacco Riccardi furono eletti a consoli di Milano.
   Assestate le loro cose coi Milanesi e coi Visconti, i Lodigiani elessero a loro governatore Antonio Fissiraga, nobile e munifico cittadino guelfo, ch'era stato due volte capitano dei Fiorentini; ben visto dal papa Innocenzo IV, dal quale aveva fatto togliere lo interdetto, che fino dal tempo di Federigo 11 gravava sulla città, fratello al vescovo Dongiovanni, e che aveva in quel turno fatto erigere a sue spese, in un'area occupata da sue case, la bellissima chiesa di San Francesco, chiamandovi i Minori Osservanti ad officiarla. Guelfo era il sentimento della città e Fissiraga interpretava, rispondendovi pienamente, questo sentimento. Perciò, assunto al governo non dissimulò la sua avversione pei Visconti ghibellinissinii, che non contenti di Milano miravano ad estendere la loro influenza anche nel territorio. Volendo porre un argine alle ambizioni di costoro, Fissiraga immaginò e raggruppò una lega col Langosco di Pavia, coi Brasati di Novara, cogli Avogadro di Vercelli, col marchese Giovanni del Monferrato, cogli Scotti di Piacenza, la quale, dopo vane fazioni, costrinse Matteo Visconti a cedere il campo e ritirarsi in esilio, consentendo ai Torriani di rientrare in Milano.
   La venuta di Arrigo VII, tanto auspicata dai Ghibellini, e che tante delusioni lasciò nel cuore degli Italiani, da Dante cominciando, fu causa della rovina del Fissiraga e del precipitare di Lodi verso la servitù. Fissiraga, guelfo di sentimenti, non poteva certo plandire alla venuta di quell'imperatore, che si mostrò sì impari al proprio mandato — il quale, nell'intenzione dei migliori, avrebbe dovuto esser quello di pacificare l'Italia e rassodarne lo Stato in un governo libero, laico, civilizzatore. Il Fissiraga consigliò a viso aperto, nelle adunanze tenute in Milano al cospetto dell'imperatore medesimo, i cittadini a non secondarne le continue domande di danaro, dicendo, che piuttosto di vedere aperte le porte della sua città all'avaro e cupido tedesco avrebbe preferito morire — come gii era stato minacciato — appeso ad una pianta.
   Ad onta di questo l'imperatore gli fece buon viso, e lo domando di molti consigli e servizi, e, premendogli forse di tenerlo lontano dalla sua città, lo invitò ad accompagnarlo colla Corte nel suo viaggio a Genova, ove aspettavate la deputazione dei Ghibellini e fuorusciti toscani, della quale doveva esser l'oratore il divino Allighimi. Fissiraga andò, non sospettando il tradimento che gli si preparava al ritorno. Infatti, appena