Lodi
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popolo ascoltante la lettura del messaggio imperiale. L'indignazione eccitata da una lettera così imperiosa fu universale. Il foglio fu strappato di mano all'araldo e calpestato: mentre tutti giuravano ad alta voce di difendersi ed imprecavano al despota, Sicherìo si sottrasse a stento al furore della moltitudine.
A Lodi frattanto si stava in granile trepidazione: per maggior sicurezza si mandarono le donne ed i fanciulli colle robe di maggior prezzo a Pavia ed a Cremona, città amiche: gli uomini restavano di giorno alle loro case intenti ai consueti lavori, disperdendosi la notte nello campagne per timore d'essere ad ogni istante raggiunti dalla vendetta dei Milanesi. Ma la notizia della imminente discesa in Italia di Federigo, che con gran seguito di signori ed un numeroso esercito veniva fra noi a farsi riconoscere nella duplice sua qualità di imperatore e re dei Romani, richiamò i Milanesi a migliori consigli; lasciarono i Lodigiani tranquilli e, come le altre città, mandarono ali imperatore doni e legati. Indetta la Lieta di Roncaglia i Lodigiani presero ardimento ed inviarono ì loro Consoli a sostenere davanti all'imperatore le lagnanze contro Milano. L'imperatore, accolto dai Lodigiani il giuramento (li fedeltà, che i Milanesi non poterono impedire loro di prestare, si pronunciò in favore di Lodi, e per punire i Milanesi della loro disobbedienza compì l'impresa di Tortona, città eroicamente fedele a Milano.
I Milanesi stettero quieti lino alla partenza dell'imperatore; ma non appena questi fu al di là delle Alpi riversarono Tira compressa sui Lodigiani, cui impedirono di vendere i loro fondi sotto pena di confisca delle terre, e di andare ad abitare fuori dei borghi, richiedendo per giunta da ogni Lodigiano giuramento di sudditanza. I Lodigiani avrebbero dato tale giuramento, condizionato alla fedeltà dovuta all'imperatore (Salva /amen hnperatoris fìdelitate). Ma i Milanesi, con gravi minaccia, lo volevano incondi zionato. Si interposero il vescovo, due cardinali legati del Papa e tutto il clero. Invano, t Nel giorno del martedì santo — narra Ottone Morena, lo storico dei Lodigiani ed il cronista più fedele di quei tempi — i Milanesi posero al bando tutti i Lodigiani, a meno che da quel giorno al primo giovedì dopo Pasqua tutti, semplicemente e senza clausola nessuna, giurassero obbedire ad ogni loro comando. Ciò udito i Lodigiani protestarono che a nessun costo avrebbero pronunciato quel nefandissimo spergiuro. Laonde il mercoledì dopo Pasqua i Milanesi, senza neppure aspettare il giovedì, nel quale scadeva il termine del bando, si presentarono a Lodi con carri, buoi e sacchi, ed entrando violentemente nelle case, senza misericordia portarono via cavalli, vino, biade, mobilia e minacciarono i cittadini, che ove rimanessero in luogo, tutti, e maschi e femmine e fanciulli in culla vi sarebbero uccisi. Per la qual cosa, nel seguente giovedì, essendo il sole al tramonto, tutti maschi, femmine e fanciulli abbandonarono le case e fuggirono nel castello di Pizzighettone, che è tra l'Adda ed il Serio. In quella medesima sera, i Milanesi sopraggiunti saccheggiarono i sobborghi di Lodi, ne arsero ed atterrarono le case, tagliarono viti ed alberi, nella state raccolsero per loro conto le messi del territorio seminate dai Lodigiani e ne distrussero tutti i luoghi forti >.
Così cadde, senza più risorgere, l'antica città di Laude Pompeja, e sul luogo ove essa fu, intorno alla sua vetusta chiesa di San Passano, non sorse che più tardi, pel fatto di qualche disperso nelle campagne, un nuovo villaggio, diventato oggi la bella borgata di Lodi Vecchio.
Lodi Nuova. — I Lodigiani scampati alla catastrofe finale della loro patria, non potendo tutti tenersi in Pizzighettone e nelle altre terre che li avevano ospitati e meditando di rifarsi in luogo più sicuro la patria, affluirono sul già ricordato colle di Eghez-zone in riva all'Adda, ove i profughi dall'eccidio del 111 1 ed i loro discendenti avevano già fondata una borgata, detta dalla località medesima, Isella. Essendo poi ritornato Federigo in Italia mandarono a Pavia, ov'egli risiedeva, un'ambasciata per chiedergli facoltà di costruirsi una nuova città sul colle di Eghezzone. L'imperatore, accettando