194
J'arte Seconda — Alta Italia
Gli ultimi due anni del dominio autriaco, dopo il secondo; viaggio dell'imperatore Francesco Giuseppe in Italia — viaggio preceduto da una prudente amnistia generale e da una ricostituzione del potere civile — furono assai più miti dei precedenti. Si disse che l'Austria, sentendosi ormai la preda vicina a sfuggirle, ristava dalle inutili crudeltà, che in tutta Europa le avevano sollevato contro un plebiscito d'orrore. Si disse anche che, a scongiurare il turbine imminente, volesse tentare un sistema opposto a quello fin allora tenuto. Fu inandato a Milano, come viceré e governatore generale, l'arciduca Massimiliano, fratello all'imperatore, giovane studioso e mite, che seppe, a malgrado della ripugnanza cui ispirava il nome degli Absburgo, cattivarsi qualche simpatia. Fu accordata una certa libertà di stampa; venne facilitato il rilascio dei passaporti, a molti emigrati fu concesso il ritorno in patria; furono tolti i sequestri che Radetzky aveva messo sui beni degli esuli e degli inquisiti politici; d feroce maresciallo fu allontanato dall'Italia, ed una certa tolleranza venne usata per le espansioni del sentimento nazionale. Fu detto che queste erano misure preparatorie alla proclamazione di Massimiliano a re costituzionale del Lombardo-Veneto, interamente staccato dalla soggezione di Vienna. Ma i fatti precorsero le intenzioni. Il movimento nazionale, trovato in Torino il suo massimo focolare d'azione, procedeva ormai irresistibile verso una meta ben fissa. Si voleva un'Italia unificata dagli Italiani, senz'ombra di soggezione straniera. Tale il voto di tutti i patrioti che nel campo costituzionale, al Parlamento Subalpino e nel campo più avanzato del partito d'azione, avente i suoi poli nelle personalità di Mazzini e di Garibaldi, lavoravano ad affrettare gli eventi. La parte efficace, gloriosa, avuta dal Piemonte nella guerra di Crimea, la posizione assunta dal conte di Cavour nei negoziati di Plombières e di Parigi, avevano schiarita la situazione, e diplomaticamente semplificata la questione italiana. Si sentiva nell'aria la guerra, la guerra sicura, inevitabile, vittoriosa. Non era più quistione di anni, ma di mesi, di giorni. E si contavano i mesi ed i giorni, con ansia febbrile. Nei primi mesi del 1859, l'Austria smessa la maschera benevola che aveva tenuta per quasi due anni, ricacciò fuori l'unghie del 1848 e del 1853. Provocazioni soldatesche e poliziesche nelle strade. Manomissione di ogni diritto dei cittadini Arresti, sequestri, deportazioni, condanne di cittadini accusati di favorire il movimento nazionale, di mantenere relazioni cogli esuli e con Torino. Ma nulla valse. L'alleanza tra la Francia ed il Piemonte è il fatto compiuto che decide del momento. Alle proteste dell'Austria che, dopo di aver adunato un formidabile esercito (circa 200,000 uomini) in Lombardia, affollava d'armati e di cannoni la sponda sinistra del Ticino, minacciando l'invasione del Piemonte, ove questi non avesse immanti-nenti disarmato e congedati i corpi dei Volontari che andavansi formando, Cavour oppose il 27 aprile, un reciso rifiuto. Il 29 i marescialli Giulay ed Urban invadevano la Lomellina, commettendovi ogni sorta ili barbarie, ma nello stesso giorno giungevano a Torino, accolte con frenetico entusiasmo, le prime divisioni francesi scendenti dal Moncenisio, e contemporaneamente, Napoleone III, con altre forze e brillante Stato maggiore, sbarcava a Genova fra il delirio della popolazione. Centoquarantaquattromila uomini venivano di Francia col l'imperatore ad aiutarci; il Piemonte tra l'esercito regolare ed i Volontari dei vari corpi che andavano organizzandosi entrava in campagna con quasi sessantamila uomini. Napoleone III e Vittorio Emanuele II, alla testa dei rispettivi eserciti, che agivano di conserva. Fiancheggiava, precedendoli, il corpo dei Volontari, i Cacciatori delle Alpi, inesso sotto gli ordini di Garibaldi, il quale col fortunato combattimento di Varese, ebbe l'onore di aprire la campagna e la serie delle vittorie di quell'anno fortunoso. Le battaglie di Palestra (30 maggio) e di Magenta poscia (4 giugno),
mettendo in rotta l'esercito austriaco, e costringendolo a ritirarsi al di là dell'Adda, aprono le porte di Milano agli alleati; Napoleone III e Vittorio Emanuele II vi entravano P8 giugno — preceduti di un giorno dalle truppe del maresciallo Mac-Mahon — fra un entusiasmo < che — dice uno storico contemporaneo — niuna penna umana potrà mai