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J'arte Seconda — Alta Italia
in una casa del conte Taverna, in via dei Migli, clic angusta e tortuosa era facile a difendersi asserragliandola di barricate. Dalla casa Taverna, in un momento estremo, per una comunicazione fatta aprire dal Cernuscln con un giardino di casa Belgioioso, sarebbe stato facile al quartier generale degli insorti mettersi in salvo, per continuare altrove l'opera propria. Vicino alla casa Taverna, nella stessa via dei Sigli era allora la sede del Consolato francese, il quale teneva esposta la propria bandiera insieme al tricolore cisalpino. « La vista di quel vessillo — scrive il Cattaneo — e la fede nel-« l'amicizia di quella nazione poderosa, non furono senza effetto nel terribile momento « nel quale un intero popolo con sì esigue forze si cimentava sulla sanguinosa via < della libertà >.
Consenziente il clero, che in questa circostanza spiegò viriti altamente, patriottiche, gl'insorti suonavano a stormo tutte le campane di quelle chiese di cui non fràngi potuti iinpadronire gli Austriaci, rispondendo col lugubre scampanìo al tuonar del cannone, che dal Castello e dagli altri punti strategici della città, si faceva senza cessa udire. Così fu tutta la giornata, il cui pomeriggio tetro e piovoso dava alla cosa una nota più tragica ancora. Nessuno sapeva come la lotta fosse cominciata, nessuno poteva immaginare come sarebbe finita. Si combatteva dal popolo coli accanimento ili chi una buona volta vuol farla finita ; dai soldati, per la maggior parte croati, boemi ed ungheresi, colla rabbia di chi presente di dover abbandonare la preda, o di chi si sente prendere dal terrore d'una inevitabile sconfìtta. Indicibili le infamie perpetrate dalle soldatesche nelle case cui potevano entrare, portandovi il saccheggio, la distruzione, l'incendio; infinite le uccisioni perpetrate su donne, su vecchi, su infermi, su ragazzi, precipitati dalle finestra o dai tetti. I prigionieri condotti in Castello cacciati nei più umidi sotterranei; altri fucilati in massa, altri bruciati, e dei loro miseri avanzi fatto ludibrio.
Fin dalla prima sera, dopo che il Broletto era stato preso, Radetzky mandò una staffetta a Vienna annunziante, con reboanti parole, la sconfitta della rivoluzione, il ritorno dell'ordine e della legalità-
Ma nel secondo giorno (19 marzo), il truculento maresciallo cominciò a disingannarsi e ad accorgersi d'aver troppo presto cantato l'inno della vittoria. In tutta quella seconda giornata si pugnò nelle diverse parti della città senza comune disegno c sforzandosi ciascuno presso le sue case d'acquistar terreno, di abbarcarsi, di scoprir anni e munizioni e toglierne al nemico >.
Nel terzo giorno si costituì, a fianco della municipalità, il Consiglio di Guerra, per dar ordine e comunione d'intenti alla lotta dei cittadini che s'annunziava diggià, per molti risultati parziali, generalmente vittoriosa. Fu in quello stesso giorno che il maresciallo Radetzky, a malgrado dei suoi grotteschi e minacciosi proclami, fu costretto a mandare il maggiore Ettingshausen, dei croati Ottochan, a parlamentare al quartier generale. Il maggiore a nome del generalissimo domandava un armistizio di quindici giorni, per dar tempo — si diceva — alle disposizioni ili Vienna di giungere. Molti della municipalità, con alla testa il Casati, erano propensi ad accettare le proposte di Radetzky, ma interpellato Carlo Cattaneo, questi interpretando i sentimenti del Consiglio di Guerra e dell'animosa gioventù che gli si stringeva intorno calorosamente perorò perchè l'armistizio, sotto ti quale certamente si celava un tranello, 11011 fosse accettato. Prevalse il consiglio della resistenza, e ne fu data partecipazione al maggiore austriaco, che prese allora congedo. « Sceso sotto il portico, sostò ad aspettare che gli si bendassero gli occhi. Ala non fu fatto; non parve esservi cosa in città che fosse prezzo dell'opera celargli. Commosso visibilmente da quanto aveva veduto, strinse la mano ad uno dei cittadini che lo avevano accompagnato, dicendogli col suo straniero accento: Addio, brava e valorosa gente. — Da una intiera generazione, era quella foise la prima volta che uno straniero diceva al nostro popolo una parola di giustizia >.