Milano
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< c questi, decidendosi a ricevere la Commissione dei Milanesi, disse loro Chiaramente che, considerando la Lombardia ed il Veneto come terre di conquista, non era il caso si parlasse d'indipendenza o di costituzione >; e riguardo alle condizioni di Milano soggiunse, che questa città < cessando di esser capitale, doveva necessariamente decadere. Tutto quello che poteva fare era di cercare che la decadenza fosse lenta >.
Allora si compresero e si piansero gli errori e le colpe, che per passioni private, per ambizioni spostate, per turpi interessi si erano perpetrate in quell'infausto aprile e colle quali, senza resistenza, senza riserve, ci si era dati, mani e piedi legati, in balia degli alleati, allora si cominciò a comprendere che l'Austria della Santa Alleanza, l'Austria in quel momento arbitra dei destini d'Europa, l'Austria di Francesco I e di Mettermeli, era ben diversa dall'Austria tollerante, filosofica, riforniatrice ili Maria Teresa, di Giuseppe II e del conte Firmimi; si piansero errori e colpe, e, come fece il Gonfalonieri, si prepararono gli aitimi a riparare gli uni, ad espiare l'altre, con generose congiure e lungo martirologio allo Spielberg; ma troppo tardi. Da quel giorno su Milano, sull'Italia tutta, doveva incombere, per quasi mezzo secolo, la più dura ed efferata delle tirannidi.
La meteora fugace dei Cento Giorni, che suggellò a Waterloo la epopea militare di Napoleone, non ebbe contraccolpo — anche per la lentezza delle comunicazioni e la difficoltà degli accorili — in Milano. Solo alcuni fautori del cessato (ioverno ed antichi ufficiali del disciolto esercito italiano, avevano tentato una specie di cospirazione per risollevare la bandiera dall'aquila napoleonica, ma furono sommariamente processati e senza grandi rumori tenuti in carcere. La carestia terribile che dal 1815 al 1817 susseguì alla caduta di Napoleone ed alla restaurazione dello stata quo ante, il tifo petecchiale che nel 1817 accompagnò quella carestia e fece in Milano migliaia di vittime, non diedero tempo agli animi di misurare tutti gli effetti del nuovo stato di cose, avente per cura precipua di cancellare dalla storia e dai fatti compiuti quanto era avvenuto, buono e cattivo insieme, dal 170(5 al 1815. Ma superate quelle due crisi dolorose, ritornati gli animi a maggiore serenità di giudizio, si comprese ben presto qual sorta di giogo ferreo si avesse sulla groppa, e quali catene alle mani, senza speranze visibili di migliore avvenire. E allora cominciò a destarsi in cuore l'odio verso lo straniero duramente oppressore, donde i tentativi di reazione morale e materiale all'aspra servitù. La quale reazione si manifestò dapprima coll'attività letteraria di alcuni giovani, propugnanti sul giornale [l Conciliatore le nove idee del romanticismo, considerato allora come una rivoluzione nel campo morale e delle intelligenze, che avrebbe potuto preludere ad altre rivendicazioni nell'ordine dei fatti e della politica. Il Conciliatore, che ha un posto modesto, ina glorioso, nella storia del risorgimenti patrio, nacque in casa del conte Porro, dei figli del quale era istitutore Silvio Pellico ili Saluzzo, già celebre per poesie e scritti letterari, ma specialmente per la sua tragedia famosa, Francesca da Rùnini, della quale l'invocazione ili Paolo all'Italia era sulle labbra e nel cuore di tutti. Pellico era il segretario di redazione del Conciliatore, e intorno a questo giornale si raggruppò quel nucleo di generosi, che non avendo perduto la speranza nel futuro destino della patria pensavano dì affrettarlo educando gli animi e le nienti alla cognizione « del vero per mezzo del bello >. — Formavano parte del cenacolo dei conciliatoristi, com'eran detti gli amici di quel giornale, oltre il Porro, il Gonfalonieri, il Pellico, da riguardarsi come fondatori, Alessandro Manzoni, del quale il foglio difendeva contro gli strali della critica accademica, le tragedie, le liriche altamente inspirate; Grossi, che si lanciava, coìV lldegonda, la Fuggitiva, i Lombardi alla Crociata, nel romanticismo patriottico; Giovanni Berchet, le cui liriche sulla Lega Lombarda e su altri avvenimenti patriottici, dovevano più tardi infiammare l'animo alla vegnente generazione; Ludovico di Bròme, sacerdote e tìlosofo, che volle unire luetica cristiana alla filosofica ed al patriottismo;