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J'arte Seconda — Alta Italia
In quello stesso tristissimo giorno, che fu il 20 aprile 1814, la medesima folla, eccitata ed ebbra per il successo ottenuto al Senato, spinta da abili sobillatori, dietro i quali dibattevansi ignobili vendette e cupide bramosie, fu lanciata contro il disgraziato ministro delle finanze del Regno Italico, Giuseppe Prima, verso il quale era vivo il risentimento popolare, per le gravezze imposte onde far fronte alle continue richieste di danaro dell'imperatore per le sue guerre. Il ministro, avvisato tardi dai suoi famigliari della bufera che stava per scatenarsi su di lui, o non potè mettersi in salvo, o non volle. Anzi, vi fu nei contemporanei presenti al fatto, chi raccontò che, sollecitato dai servi a fuggire, rispondesse: « Un piemontese (era di Novara) non fugge ». — Comunque sia, la folla capitanata da alcuni noti e tristissimi figuri, i cui nomi sono rimasti e nei ricordi e nelle cronache del tempo, invase la casa del miuistro, presso, il Marino e la piazza di S. Fedele; e trovatolo in un nascondiglio, lo trascinò sulla strada, ove, in preda ad mi ebbro furore, gli strappò gli abiti di dosso, ed a colpi d'ombrello — la giornata era piovosa — e di bastoni, si diede a percuoterlo ed a trascinarlo per le vie fangose della città, con orribili lazzi ed ululati. Più d'una volta alcuni pietosi riescirono a strappare quel corpo sanguinolento di ferite e di percosse, ma ancora palpitante, dalle inani dei furibondi; ma la folla, sempre eccitata da quei figuri tristissimi che sembravano dominati da uno speciale furore contro il disgraziato ministro — che la cronaca dei tempi disse mandatari d'un certo avvocato o notaio che fosse, presso il quale, il Prina, presentendo la catastrofe dell'impero, aveva, senza garanzie depositato tutto quanto possedeva in contanti ed in valori (oltre un milione) — se ne impadronì di nuovo, per continuarne lo strazio, il massacro. L'orribile scena durò fino a sera, quando cioè una pattuglia di guardie civiche potè strappare ad un ultimo gruppo di feroci dimostranti quell'ammasso informe e sanguinolento di carni, cui trasportò prima nella sagrestia della chiesa del Carmine: indi, segretamente, al cimitero detto della Mojazza fuori di porta Comasina, ora Garibaldi.
Nella sera medesima di quel giorno nefasto, del quale conservasi ancora per tradizione nel popolo il ricordo, furono visti passeggiare per Milano, tranquillamente, alcuni ufficiali austriaci. Otto giorni più tardi, per invito dèi Consiglio di Reggenza, sgomento della piega presa dalle cose, temente saccheggi e rivoluzioni — mentre il viceré Beauharnais capitolava in Mantova e ritiravasi in Baviera — entravano a Milano, solo per mantenervi l'ordine, le truppe austriache di Soininariva e Neipperg.
11 Consiglio di Reggenza provvisorio, come intitolavasi quello pseudo Governo, era composto di alcuni nobili, tra cui il conte Carlo Verri, il conte Giberto Borromeo, il conte Giorgio Giulini; comandava la guardia civica il generale Pino, alla cui incertezza ed ai cui sogni ambiziosi svaniti, devesi in parte se nella giornata del 20 aprile fu possibile l'eccidio del Prina, e peggio ancora, devesi se gli Austriaci poterono senza colpo ferire venire in Milano, accolti se non proprio come liberatori, come tutori dell'ordine — accontentandosi poscia, a cose finite, della pensione da feldmaresciallo austriaco : lui, che per un istante aveva sognato ed aveva vista la probabilità di sostituirsi al Beauharnais e assidersi sul trono dell'Italia superiore!
A tener queti gli animi pascendoli di erba trastulla, il Consiglio di Reggenza provvisorio, promettendo sempre di convocare i comizi del popolo onde sentirne la volontà, mandava a Parigi, ove i vincitori di Napoleone erano riuniti a Congresso per spartirsi l'Europa, una Commissione composta dei cittadini Alberto Litta, Marc'Antóiiio Fè, Gian Giacomo Trivulzio, Federigo Confalonieri, Giacomo Ciani, Pietro Balabio, Serafino Sommi e Gian Luca della Somaglia, per esprimere alle Alle potenze i desideri delle popolazioni italiane, e domandare indipendenza con un re italiano, ed uno statuto organico. Ma mentre la Commissione faceva anticamera da Mettermeli e da Talleyrand, e sollecitava udienza dall'imperatore d'Austria, Francesco I, il maresciallo austriaco Bellegarde occupava Milano e la Lombardia in nome del suo imperatore e padrone: