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l'arte Seconda — Alta Italia
generatore d'un meditato regno d'Italia (1085) — pel quale aveva già fatto preparare dagli orafi la corona. Gli ruppero il bel disegno i signori e le repubbliche circostanti, che non intendevano certo di essere soppressi a benefizio della dinastia viscontea. Si consolò dello scacco, senza però rinunciare all'attuazione dell'idea, Gian Galeazzo comperando a peso d'oro dall'imperatore Venceslao il titolo ducale. In quel momento, apogeo della fortuna dei Visconti, il ducato di Milano comprendeva, oltre Milano capitale, Arezzo, Reggio,Panna, Piacenza, Cremona, Lodi,Crema, Bergamo,Brescia, Verona, Vicenza, Felizzano, Feltro, Belluno, Passano, Bormio, Como, Novara, Alessandria, Tortona, Vercelli, Pontremoli, Bobbio, Sarzana, Pavia colla sua contea, nella quale com-prendevansi pure Valenza e Casale. Vi si aggiunsero quindi Bologna, Pisa, Siena,Perugia, Spoleto, Assisi e infine Padova, che fu poscia ceduta ai Carrara, Alba ed Asti, che Gian Galeazzo diede in dote a Valentina sua figlia, sposata ad un fratello del re di Francia.
Due monumenti segnano nella storia dell'arte il passaggio di Gian Galeazzo Visconti: il Duomo di Milano e la Certosa di Pavia. Del primo abbiamo discorso, e lungamente, nel capitolo di quest'opera riguardante la Milano sacra. Superfluo ti ritornarvi sopra. Della seconda parleremo diffusamente siccome merita l'insigne monumento, unico nel suo genere, in luogo più acconcio, descrivendo la provincia di Pavia. Qui diremo soltanto, che per ricchezza e grandiosità di concepimento quei due monumenti sono dei più grandiosi lasciati in Italia e fuori da questo secolo, che pur di opere grandiose, in Italia particolarmente, fu sì fecondo.
In pari tèmpo Gian Galeazzo diede maggior splendore alla reggia o sede ducale, situata nel vasto isolato che ora è occupato dal palazzo Reale, e nel quale già si trovava — al tempo del libero Comune — VArengo peri pubblici parlamenti ed il palazzo dei consoli. — Già questo era stato ingrandito da Azzone, che vi aggiunse torri e difese, compresa la vaghissima torre di San Gottardo (fig. 40), elegante monumento d'arte gotica, nella quale fu collocato il primo orologio a soneria, e vi fece lavorare artisti celebri, tra i quali Giotto. — Il palazzo ducale comunicava, per mezzo di gallerie e passaggi sui tetti, col palazzo e le case private dei Visconti, presso la chiesa di San Giovanni in Conca, ove fra le altre, attigua alla chiesa, era la ricordata Cà dei Cani, nella quale il Gian Maria Visconti, figlio e successore di Gian Galeazzo (morto nel 1402 di peste), ad imitazione del prozio Bernabò, manteneva mute di grossi cani, ammaestrati a mordere e sbranar la gente ad un cenno del padrone, ed obbligava, balzello di nuovo genere, famiglie di cittadini a mantenerne altre in numero sterminato (si dice qualche migliaia), condannando a pene gravissime coloro che nei giorni delle visite o rassegne prescritte non presentavano quei cani in buon essere e ben tenuti. Inetto alle cose di governo e dedito ai bagordi, si lasciò prender la mano dai condottieri di compagnie o milizie di ventura, altra peste allora introdottasi iu Italia col disuso alle anni che la tirannide aveva arrecato nel popolo, onde ben presto il largo dominio lasciatogli dal padre andò tutto in isconquasso; e quando nel 1412 Gian Maria fu, da una congiura di nobili ghibellini, trucidato insieme al suo sgherro favorito, lo Squarciagiraino in San Gottardo, lo Stato era del tutto diviso ed m mano dei venturieri i cui capi tenevano a pegno delle loro paghe o questa o quella città od imponevano taglie alle campagne e ricatti alle famiglie nobili dimoranti nelle ville circostanti. Da allora per la potenza viscontea fu un precipizio, di rovina in rovina. Filippo Maria, secondogenito di Gian Galeazzo, non si fa scrupolo di sposare Beatrice di Tenda, più anziana di lui di veri L'anni, perchè vedova com'era rimasta di Facino Cane, il più potente dei capitani di ventura d'allora, padrone se non moralmente e di diritto, ma per la forza delle cose, di gran parte della Lombardia e di vistose ricchezze accumulate guerreggiando, gli riportava buona parte del retaggio e delle ricchezze paterne. Ma una volta impossessatosene mandò la troppo matura consorte al supplizio accusandola, con più o meno fondamento, di adulterio con un paggio,