Milano
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il nuovo flagello (li Dio, com'era detto. E costui, con molti armati, agognando a ricca preda, da Brescia ove tiranneggiava, mosse verso Milano; ma appena ebbe passata l'Adda presso Trezzo fu dai Milanesi, guidati da Martino Della Torre e da altri collegati, condotti dal marchese Azzo d'Este, sbaragliato e ferito mortalmente : a Cassano rese l'anima turpe ed efferrata.
Per quasi mezzo secolo Torriani e Visconti si contendono con sanguinose fazioni la supremazia in Milano ed il dominio della città: i primi, poggiandosi sull'elemento popolare e guelfeggiando e gli altri tenendosi coi nobili e ghibcìlineggiando. La fortuna cominciò a dichiararsi pei Visconti quando uno di questi, Ottone, riuscito a farsi eleggere arcivescovo, radunati quanti armati potè nei feudi di famiglia sul lago Maggiore ed accordatosi coi fuorusciti milanesi, si fò contro a Napoleone Tornano, in quel di Desio, lo sconfisse, lo fece prigioniero ed insieme ai suoi aderenti lo condusse a morire di veleno e di rabbia in una gabbia di ferro nella torre del Baradello, presso Como. Il tracollo definitivo dei Torriani avvenne pochi anni appresso, in occasione della discesa in Italia di Arrigo VII di Lussemburgo, per la quale eransi riaccese tutte le speranze ghibelline d'Italia, cominciando da quelle di Dante. Guido Torri ano, capitano perpetuo del popolo di Milano, sebbene d'animo guelfo, dovette fare buone accoglienze all'imperatore, allorché venne in Milano tenendosi al suo seguito Matteo Visconti, reputato fra i più sicuri ed influenti ghibellini del tempo. Come era uso in quei tempi, oltre delle feste, l'imperatore domandò alla città di contribuire con un regalo alle spese del suo viaggio in Italia. Si radunò il gran Consiglio per fissare la somma. Furono proposti 50.000 zecchini. Matteo Visconti domandò di aggiungerne 10,000 per l'imperatrice. Allora Guido Torri ano. con ironia, esclamò: < Meglio darne 100,000, e far la cifra tonda >. Il notaio dell'imperatore scrisse senz'altro la cifra e l'imperatore volle gli fosse pagato quanto era scritto. A simile inaspettata gravezza la città tumultuò, nacquero baruffe coi Tedeschi: i Visconti, trovando agio di rappresentare tanto al popolo che all'imperatore come causa d'ogni cosa fossero i Torriani, così esaltarono gli animi da una parte e dall'altra, che provocarono e capitanarono una sommossa di cittadini e Tedeschi contro i Torriani; ne assaltarono le case — esistenti nei paraggi dell'attuale piazza della Scala — le incendiarono ed abbatterono uccidendo e cacciandone i signori. Del fatto rimase il nome ad una piccola chiesa di San Giovanni ed alla via che è a tergo del palazzo Marino, dette appunto l'uria e l'altra delle Case Rotte. Una lapide municipale, sull'angolo della casa in piazza della Scala e via Manzoni, ricorda pure questo avvenimento.
Fra queste vicende terminava in Milano il secolo XIII e cominciava il XIV, senza che per questo la città cessasse di abbellirsi ed arricchirsi di monumenti insigni. In questo secolo conducevasi a compimento la chiesa dell'abbazia di Chiaravalle colla stupenda sua cupola-torre, nel chiostro della quale sono ancora le lapidi e gli stemmi delle tombe dei Torriani e di altre famiglie nobili milanesi. Rifaceva si pure la basilica di Sant'Eustorgio, a cui sulla fine del secolo fu dato lo slanciato campanile, che fu per molto tempo il più alto di Milano, e vi si collocarono buoni monumenti sepolcrali dei Visconti, dei Brivio e d'altre famìglie. Fabbricatasi in istile gotico perfetto San Marco, e nel 1207 om a vasi di grafiti la tomba dell'abate Guglielmo Cotta in Sant'Ambrogio, precorrendo di circa 180 anni l'invenzione ilei Buoiiinsegna, nel pavimento del duomo di Siena.
Nella metà del secolo XIII, mentre alla Corte di Palermo ed in Toscana andava formandosi la nuova lingua d'Italia, il dialetto milanese era già in istato di avanzata formazione. Non si usava nelle scritturazioni, perchè il campo era ancor tenuto dal latino, ma forse nelle canzoni popolari, erotiche o sacre andava di pari passo colla lingua cosi-detta volgare, allora nascente. E ne abbiamo un esempio nel curioso poema di Pietro da Bescapè, scritto nel 1271 - contemporaneo a Guido Guiincelli, a Guido ed Otto delle Colonne, alle rime di Dante da Majano e ad altri fra i più antichi rimatori italiani — nel quale in versi misti d'un rozzo italiano e di dialetto milanese è narrata la storia
21 — l.a l'atrla, yo! II.