Milano
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punto di partenza per la storia dell'arte nel medio evo. A quale scuola gli autori di questo monumento, mirabile sì nel suo complesso che nei suoi particolari, si siano formati, non è difficile il desumerlo. Alla scuola di quanto, più o meno deturpato, rimaneva ancora della grand'arte antica, insieme a quanti altri elementi artistici, i Bizantini, venuti in Italia per la conquista di Belisario e di Narsete, o cacciati dai furori iconoclasti di Leone Isauro, o dalla conquista saracena espulsi dalla vicina Sicilia, avevano portato. Nomadi correvano per le contrade italiane in cerca di lavoro, passanti dal soldo di un vescovo a quello d'un abate, desiderosi d'innalzare a nuovo le loro chiese, di abbellire o restaurare quelle esistenti; quei maestri, dapprima umili murifabbri, poterono osservare, studiare, assimilare ciò che nell'arte loro già esisteva e trarne profitto nei loro lavori. E poco per volta, imitando, copiando, adattando il già visto e crogiuolando il tutto nella vergine loro fantasia, col simbolismo che la fede loro imponeva, nello entusiasmo che li animava; poco per volta, diciamo, diventarono degli artisti veri, dei creatori di nuove formule d'arte, ch'ebbero potente vitalità e da cui uscirono opere, che, come quest'atrio di Sant'Ambrogio, prototipo dell'arte loro, sono delle creazioni, dei veri lampi di genio.
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Il periodo successivo a questo del quale abbiamo, a larghi tratti, tracciato, colla scorta dei monumenti rimasti in piedi in Milano, il carattere artistico e storico; il periodo cioè che comprende l'èra del Comune libero e delle signorie nazionali, offre, in fatto di monumenti, più vasto campo di ricerche per l'artista e lo studioso. Sono dal secolo X al XV altri cinquecento anni di vita turbinosa che si svolgono entro le mura dell'antica città degli Insubri e dei Galli Cisalpini, dei Romani decadenti e della tenace opposizione contro i regni dei Goti, dei Longobardi e degli pseudo re italici, lasciando nei monumenti e nella storia profonda traccia di sè.
Nulla di più singolare della condizione ambiente di Milano nelle varie fasi di questo periodo, nel quale l'arte, prima discesa come postulato delle formule che rinnovarono Sant'Ambrogio e ne crearono l'atrio, poi accoglitrice di formule nuove importate dal di fuori, le gotiche, indi rinnovantesi in sè stessa con impronte affatto nazionali, ha lasciato tante e marcate manifestazioni.
Procediamo rapidamente, ma con ordine. Il rinnovamento edilizio artistico monumentale della città è parallelo ed intimamente legato al suo risorgimento politico. Questo inizia la sua marcia ascendente colla potenza degli arcivescovi. Cominciata già prima di Angilberto — che, proclama nettamente la sua indipendenza dalla potestà civile rappresentata dal re Lotario, nipote di Carlo Magno, il quale in quei tempi era pur qualche cosa — questa potenza si rafferma con Ansperto che tien testa al papa, negandogli il diritto di coronare l'imperatore prima che la Dieta dei Signori Italiani (dell'Italia superiore, s'intende, che la inferiore fa quasi sempre storia a sè) alla cui testa sta l'arcivescovo di .Milano, non abbia designato eletto, proclamato chi portando il titolo di re d'Italia dovrà, per logica necessità di cose, essere anche incoronato imperatore in Roma. Ed Ansperto la spunta in questa sua pretesa, che menoma materialmente il diritto riconosciuto da Carlo Magno al Pontefice, di incoronare l'imperatore, e fa del metropolita milanese l'arbitro vero della situazione sull'Italia superiore. In tutto il secolo X, il secolo cioè degli effimeri re d'Italia, sorto dal crollo precipitoso della potenza carolingia, la parte degli arcivescovi milanesi è esorbitante: sono essi che fanno e disfanno, creano e revocano quei re, tratti dal Friuli, da Spoleto, ila Borgogna, da Provenza, da Ivrea ; ombre, fantasmi regali, attraversanti la storia italiana, trascinati, come i personaggi della tragedia antica, da un fato irresistibile alla lor propria rovina in una ridda di errori, di colpe, di mostruose vergogne. Sono essi, i vescovi di Milano, che per finirla una volta col regno, contrario alla tradizione nazionale, la quale non parla se non di autonomie municipali e di maestà imperiali, fanno venire di