'150
l'arte Seconda — Alta Italia
argomenti sui quali il Cattaneo, trovando questo lavoro troppo bello per essere frutto del secolo IX, si fondava per ringiovanire il Ciborio dell'abate Gaudenzio di un paio di secoli, furono per successive ricerche e studi più rigorosi, specialmente per merito dell'architetto e deputato Luca Beltrami, dimostrati insufficienti ed inesatti, autenticando invece la versione che attribuisce il lavoro all'abate Gaudenzio (v. fig. 18, p. 88).
Questo Ciborio, che sostituì l'antico primitivo, sostenuto da quattro belle colonne di porfido — ili certo già appartenenti a qualche sontuoso edilizio romano — è formato da una vòlta di quattro archi in crociera. Dagli archi di prospetto, ai quattro lati, elevava usi dei frontoni cuspidali — cosa che pel tempo in Italia non lui riscontro se non nella chiesa di Sant'Apollinare in Ravenna — sui quali furono riportate, nell'epoca stessa, figure a stucco, rivelanti nell'artefice ignoto, da cui furono condotte, una maestria nell'uso della stecca non sorpassata se non da quella rivelata da Vol-vinio nel maneggio del cesello. Tali figure rappresentano: ili fronte, il Cristo fra l'aolo e Pietro, porgente all'uno il libro degli Evangeli, all'altro le simboliche chiavi; a tergo, Sant'Ambrogio fra due sauti creduti Gervaso e Protaso, od i suoi diaconi abituali Casto e Poliuiio, i quali gli presentano due monaci, uno di questi — ritenuto per lo abate Gaudenzio — gli offre il Ciborio stesso, che tiene in piccolo modello in una mano. Al lato destro, havvi ancora la figura di Sant'Ambrogio, coronato da una mano celeste di una corona consimile a quella ferrea di Monza, ed ai suoi fianchi stanno in atto di adorazione due personaggi con barba a punta ed abiti all'uso longobardo ; sul frontone del lato sinistro è raffigurata la Vergine cui sovrasta lo Spirito Santo; ai suoi fianchi ha due figure di donne preganti, e delle quali per la storia del costume sono da osservarsi la sottoveste stretta al corpo e la veste con maniche amplìssime e cappuccio e berretto unito per coprire la tonsura, a cui, secondo l'uso longobardo, dovevano assoggettarsi le donne maritate.
All'altare di Volvinio, al ciborio dell'abate Gaudenzio seguì, terzo fra i monumenti che si possono dire riassuntivi dell'epoca in Milano, l'atrio col quale Ansperto completò la basilica ambrosiana: prima, e veramente grande manifestazione dell'arte lombarda, monumento insigne per bellezza e valore storico, non sempre ammirato e studiato dai visitatori come si meriterebbe (v. fig. 17, p. 87). « L'atrio — scriveva il Borghi citato — è tutto quanto può ini ni agili arsì di fantastico nella forza, di squisito nella ricchezza. Il colore del medio evo di Carlo Magno, di quel medio evo in cui si rompeva il truce silenzio e balenavano raggi di speranza è tutto ili quell'atrio: par di vedervi arrivare ì pellegrini in frotte e la folla variopinta, e i paladini ferocemente splendenti e le dame superbe, e i meno superbi imperatori, aspettanti la corona dalle mani di un potente patriarca. E quell'eleganza fantastica continua e forse cresce, nella porta principale; un fascio di colonnine che salgono svelte e si piegano ad arco, e sovr'esse una profusione di serpeggiamenti, d'intrecci, di viticcln. di fioriture da far dire che l'eleganza nacque e fu sepolta in quei tempi... ».
Anche di questo porta, come dell'atrio, il merito è indubbiamente accertato per Vnsporto, che seppe raggruppare intorno alla basilica in restaurazione una schiera di artefici (ili relazione ilei tempo valentissimi) come forse non se ne aveva altri in tutta Italia, ove di questo periodo nulla si potrebbe citare degno di gareggiare con l'atrio di Sant'Ambrogio. Chi fossero questi artisti e donde venissero non è storicamente appurato ; ina tutte le induzioni sono concomitanti nel farci ritenere tali artisti per nostrali, indigeni ; primi pionieri di quella singolare corporazione che divenne poi legione, di costruttori di cattedrali in Italia e fuori, detta dei maestri Comacmi ed in un capitello, rovesciato e diventato zoccolo, in un successivo restauro della porta di Sant'Ambrogio, fa capolino il nome di uno di questi artefici: Adamus magister. Chi fosse costui e donde venuto non si sa: l'opera sua e dei suoi compagni esplicatasi nell'atrio e nella basilica, nei cento capitelli di questo e di quella, segna evidentemente un gran