Milano
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si contentarono di costruire, sulle rovine di questi, intorno alle chiese più o meno rispettate dal furore degli Ariani, delle casupole di un sol piano, col tetto di graticci e di paglia, intonacato di mota. Le case a due piani dette salariate (da solarium, nome del piano superiore, d'onde il lombardismo solaio < solée >) erano eccezioni. 11 complesso della città non era formato che dall'ammasso di queste basse e povere capanne; capanne nel vero e letterale senso della parola, avendo perfino con queste speciali abitazioni dei popoli o tribù di razze inferiori, 1111 foro nel tetto, quale sfiatatoio del fumo per il fuoco che si accendeva nel mezzo della maggiore stanza, di sovente, unico ricettacolo alla intiera famiglia.
In tanta miseria edilizia è vano dunque il ricercare monumenti dell'epoca all'in-fuori di quelli che il sentimento religioso ha conservati nelle chiese, o che le cure, im po' tardive, degli studiosi raccolsero nei musei. Ed anche questi non abbondano nè brillano per soverchi pregi. Sono generalmente rozzissime iscrizioni sepolcrali ed ancor più rozzi frammenti di sculture ornamentali, finestre e stipiti di porte; nelle chiese tombe in granito malamente squadrato e dirozzato, figure in alto e basso rilievo scolpite in pietra arenaria e messe ad ornamento e simboli nelle chiese, sulle tombe, o in qualche altro luogo di pubblico interesse. Se ne vedono a Sant'Ambrogio nell'atrio e nella chiesa, ed ni talune delle più antiche basiliche milanesi, come San Simpliciano, San Nazzaro, San Lorenzo ed altrove. Tutte cose che interessano più l'archeologo, lo storiografo e lo studioso in genere che non l'artista e la folla dei semplici osservatori.
Qualche bagliore d'arte, che lasciò memorie non disutili dietro di se, lo troviamo nel secondo periodo della dominazione longobardica, quando cioè i Longobardi, consolidata la loro conquista, tentarono di affinarsi, abbandonando primi l'Arianesimo e poi accostandosi, in quanto lo consentivano le loro tradizioni nazionali, agli usi, alle costumanze degli Italiani, da essi tenuti in soggezione, e fra i quali serpeggiava pur sempre qualche scintilla dell'antica civiltà. Di questo periodo, che corre fra il secolo VI ed il VII, e si spinse poi tino alla catastrofe politica di quella nazione, alla quale assistette esultante tutto l'elemento italiano, si hanno costruzioni e ricostruzioni di editici non del tutto spregevoli; si hanno tentativi di scultura che si sollevano d'assai da quelle del periodo precedente ; e, in quella semi-oscurità d'ogni cosa, vanno natamente preparandosi le generazioni dei maestri architettori, che tre, quattro, cinque secoli appresso, Comacini o non che fossero, popolarono in istile lombardo, di cattedrali, di monumenti, l'Italia e buona parte del centro d'Europa.
Fra ì pochi monumenti genuini del periodo longobardico, venuti tino a noi, vanno annoverate quelle tre statuette di donne longobarde che si veggono in un angolo del cortile della Biblioteca di Brera, tolte dall'antichissimo monastero delle Benedettine di Cairate nel 1811, e delle quali una vuoisi rappresenti Manigtinda, la fondatrice ili tale convento. Nel Museo Archeologico poi si trovano altri frammenti di scultura, dell'epoca delle tre donne di Cairate, parti dell'arte prettamente longobardica (secoli VI, VII, Vili).
Del periodo successivo (secoli IX, X, XI), di questo periodo, diremo così, di latente preparazione, si possono annoverare i capitelli, gli avanzi di sculture, rinvenuti nel 1869-10 in via Monte di Pietà, negli scavi o nelle demolizioni fatte per la costruzione del palazzo della Cassa di Risparmio : capitelli e frammenti appartenenti al monastero delle Benedettine, detto di Aurona, da una gentildonna longobarda di questo uomo, figlia di Ausprando tutore del piccolo re Luitperto, al quale il congiunto e duca Ari-perto II aveva usurpato il trono e tolta la vita, facendolo affogare in un bagno. Questo monastero d'A urona fu l'epilogo d'una delle più sanguinose tragedie che rammentino le cronache longobarde.
Siccome Ausprando voleva rivendicare i diritti del pupillo, Ariporto, avuta nelle mani la di lui famigliane fece accecare il tìglio maggiore Sigibrando; alla moglie di