Atto ter/,»
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SCENA VI.
Camera con tre porte, due laterali ed una in prospetto.
Il Cavaliere da una porta laterale, il Dottore dall' altra; poi tutti i personaggi vanno e vengono in questa scena, e tutte le loro entrate e tutte le loro sortite non fanno che una scena sola.
Dot. Caro signor Cavaliere, giacché siamo qui soli, e che nessuno ci sente, mi permette ch'io le dica quattro parole, da suo servitore e da buon amico ?
Cav. Dite pure, v'ascolto.
Dot. Non sarebbe meglio che vossignoria per la parte della nuora, ed io per la parte della suocera, procurassimo di far questa pace ?
Cav. Io non ho questa autorità sopra la signora Doralice.
Dot. Nemmeno io sopra la signora Isabella, ma spero che, se le parlerò, si rimetterà in me.
tiquario testardo e refrattario sempre allo stesso modo : Pancrazio può esser un rivale, ma Arlecchino ? Perciò in sulle prime, ancora stordito dal colpo, è indeciso : — Quelle bagattelle son false, sì ma perchè buttarle via ? fan mucchio colle altre... — E si fa per la prima volta serio e riflessivo, sì che alla domanda se seguiterà a tener Galleria, vien fuori con una frase seria, quasi pietosa, come non ha mai parlato : cosa vorreste che io facessi, senza questo divertimento ? E un momento di riflessione; poi ripete due volte macchinalmente le stesse parole : con tutto lo spirito. Ma si vede ch'è distratto e ha la mente ad altro; infatti chiede i
10 zecchini; e sempre più distratto ripete: operate voi, opererà ancor io. Appena partito Pantalone, si capisce a che cosa pensava : ai due ritratti di Petrarca e Laura ! E perchè ha messo giudizio, dice a sè stesso : Imparerò a mie spese.
La fine della scena non può esser più comica e impreveduta.
11 mattacchione dell'Antiquario ricade insensibilmente nel vecchio vizio, truffando onestamente proprio Pantalone ! Senza dubbio tipi •come il conte Anselmo non guariscono mai; muoiono così.