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La famiglia dell' antiquario
Pan. El ladro, el baron xe Brighella, che l'ha mena in casa e s'ha servido de sto martuffo 1 per tor in mezzo 2 el patron.
Ari. E mi che aveva impara da quel bon maestro, son po vegnù colle drezze di Lugrezia Romana.
Ans. Dove sono le trecce di Lucrezia Romana?
Pan. Eh, no vedela che le xe furbarie? 3 Mi 1' ho scoverto e gh'ho tolto da man tutte quelle cargadure che el vegnia a venderghe a eia.
Ans. Ah scellerato! Sior Pantalone, mandiamo a chiamare gli sbirri. Facciamolo cacciar prigione.
Pan. Mi no voggio altri impegni; l'ho tegnù qua per disingannarla, e mi basta cussi. Va là, tocco de furbazzo. Va lontan de sta casa, e ringrazia el cielo che la te passa cussi.
Ari. Grazie della so carità... (in atto di partire
Ans. Maledetto! ti accopperò. (vuol seguirlo
Ari. No me cuccara, no me cuccara. (correndo parte
1 scimunito.
' prender in giro, ingannare.
; ciurmerie; e appresso cargadure, caricature, falsità ridicole—Il Conte aveva già tese l'orecchie alla parola ' treccie „ : un nuovo tesoro ! Perchè egli non comprende nemmeno che 1' essere ingannalo da' due servi rende più ridicolo lui e la sua scienza archeologica. La sua incoscienza mentre grida — Ah son tradito, sono assassinato ! — è un'altra rivelazione della mirabile concretezza psicologica e artistica di questo carattere comico.
Con questa scena la parte delle maschere è finita : Brighella è fuggito e Arlecchino, come spesso gli sciocchi, se la cava a buon mercato. Esse, che son le più giulive maschere del Goldoni, l'espressione più spontanea e naturale del riso, qui somigliano a due ladruncoli di strada che nel trambusto di un saccheggio si pren-don quel che possono furtivamente e scappano. Non ridono nep-pur loro, sorridono d'un loro sorriso schernevole e malizioso; perchè in questa commedia non c'è posto per la giocondità schietta,