Atto primo
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Ans. Orsù, tenete. Questi, con i cento zecchini che vi ho dato, sono quattrocento zecchini. Fate quel che bisogna per voi, per la casa, per la sposa. Io non me ne voglio impacciare. Lasciatemi in pace, se potete. Ma ehi ! questi denari sono della mercantessa.
Isa. Lo fate apposta per farmi arrabbiare.
Ans. Senza di lei la faremmo magra.
Isa. In grazia delle vostre medaglie.
Ans. In grazia della vostra albagia.
Isa. Io son chi sono.
Ans. Ma senza questi, non si fa niente. (accennai denari
Isa. Avvertite bene, che Doralice non venga nelle mie camere.
Ans. Chi ? Vostra nuora ?
Isa. Mia nuora, mia nuora, giacché il diavolo vuol così.
(parte
La scena terza continua nel brio e nella vivacità le due prime. Ecco la Contessa, la quale sa che la borsa è piena per qualche giorno ancora e si affretta a prender la sua parte della preda : entra in carattere, sostenuta, con sussiego; sprezzante verso la nuora (il nuovo ' acquisto „ !), dispettosa verso il marito, che le risponde con un'ironia, con un sarcasmo tagliente, anche perchè è fatto con uno spiritaccio e un'allegria bizzarra, sconcertante. Ella è venuta per fare i suoi interessi, ma li dissimula sotto l'albagia della nobiltà offesa; e lui si diverte a scoprire la debolezza di lei, a batterle in faccia gli zecchini sonanti. Bizzarra figura di Conte maniaco, che proprio lui fa la satira della nobiltà e si diverte a metterla in ridicolo, con uno spirito borghesemente realistico che non si aspetterebbe neppur dal più aperto nemico della classe aristocratica. Ci par di sentire al ' Son chi sono „ lo scroscio di una risata fragorosa. Il Goldoni certamente non nutre odio di classe, anzi è uno spirito conciliativo; ma in questa come in altre scene si avverte ch'egli è un borghese, il quale sente che i privilegi di classe stanno per finire; e che la gloria di Venezia è nella mercatura.