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— No; — rispose Doro Beltrami.
— No| avete faccia di dirmi?
— No| no| mille volte no ; — replicò il giovane| con accento concitato. — Mi maraviglio di Lei| signor conte| che mi conosce| e mi tratta così| come se io fossi il più vile degli uomini.
— Ma sentite.... Ohe cosa debbo io pensare di voi| signor Beltrami ? dopo ciò che ho veduto ; dopo quel lungo colloquio laggiù| nel punto più lontano del parco| da solo a sola oon lei! e con tutte quelle tenerezze finali ! con quella satiretta graziosa| oh tanto graziosa ! di mandarvi a regger pennelli e mesticar colori !... —
Doro Beltrami non durò fatica ad intendere che il conte era venuto molto vicino al luogo del colloquio| ma ohe era giunto anche tardi.
— Nè satiretta| nè graziosa; — rispose egli sollecito. — Le parole che a Lei piace di ripetere Le dimostrano che io ho detto per l'appunto qual fosse il mio ufficio presso di Lei. Neanche per discepolo| mi son fatto passare ; per garzone| ha capito? per garzone| e nient'altro.
— Troppa degnazione! — esclamò il conte Cesare. — Ed era anche il modo di non farvi credere.
— Non era questa la mia intenzione| se mai. Resta sempre che non ho detto altro di me.
— Giuratelo !
— Sul mio onore. E non occorrerebbe| sa? Io