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— È stata una buona ispirazione ; perchè| infatti | eccolo qua ; — diss' ella| senza lasciare il braccio di Doro| che già accennava a volersi liberare del suo dolce peso. — Son io che l'ho trattenuto coi miei discorsi. Non lo sgridate| vi prego. —
Il conte Cesare fece un gesto che voleva dire e non dire| e si accompagnò alla signora| muovendo anch' egli verso il castello ; sorridente in vista| parlando di cose vane| perfino della stupenda mattinata| ma avendo un diavolo per occhio. Figuratevi ! con la coda di quegli occhi vedeva una certa mano che sbucava di sotto al braccio di Doro e si muoveva a brevi intervalli| come se battesse il tempo di un'aria misteriosa| cantata internamente dai cuori| gelosamente negata agli orecchi profani. Quella musica maledetta durò fino al piazzale| dove la signora si fermò| lasciando il braccio di Doro| ma non senza volgere al suo cavaliere uno sguardo e un sorriso di ringraziamento.
— Volete entrare ? — diss' ella| rivolgendosi al conte.
— No| grazie ; — risposo egli. — L'arricciato mi aspetta.
— Allora| — ripigliò la signora| con aria di comica gravità| — non facciamo aspettar l'arricciato: potrebbe seccarsi. —