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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Il VAGABONDO DELLE STiSLLE
   §253
   terpretò il mio silenzio per un consenso. Si staccò lentamente dalla mia stretta, parve riflettere a lungo, poi soggiunse :
   — Prenderete, Lodbrog, un cavallo di più. Sarà per me. Partirò con voi... E vi seguirò attraverso il mondo, dovunque vi piacerà andare...
   Era un dono da re, che mi offriva, un dono in cambio del quale mi si chiedeva un atto biasimevole. Non rispondevo niente. Ero triste, immensamente triste. Non già che esitassi per il mio dovere. Ma comprendevo che stavo per perdere, per sempre, colei che m'era dinanzi.
   Ella riprese, con insistenza :
   — Non c'è che un uomo, oggi, a Gerusalemme, capace di salvarlo. E quest'uomo, siete voi, Lodbrog!
   Siccome io restavo immobile e silenzioso, mi afferrò colle sue mani nervose, e mi scosse così violentemente che le mie armi tintinnarono.
   — Parlate, Lodbrog! Parlate! — ordinò. — Voi siete un uomo forte e coraggioso! Voi non temete certo quei miserabili che vogliono ucciderlo. Dite « sì », ed Egli è salvo. Ed io, per quel che avrete fatto, vi amerò eternamente!
   Risposi, con grande lentezza, perchè ciò significava per me l'abbandono d'ogni speranza su quella donna :
   — Sono un soldato Romano...
   Ella s'indignò:
   — Siete uno schiavo di Tiberio, un cane da guardia di Roma... Voi non siete Romano! Siete un gigante barbaro del Nord!
   Crollai il capo.
   — Mi sono impegnato lealmente, — risposi. — Porto le armi e mangio il pane di Roma. Non voglio essere ingrato. Se non sono Romano, i Romani sono miei fratelli... E poi, perchè tanto rumore, per la vita o la morte di un uomo? Dobbiamo morire