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nel pretorio. Che cosa passò, fra loro due? Lo ignoro. Quando IPilato tornò, era fermamente deciso a salvare il condannato.
Ma invano tentò di allontanare l'uragano, presentando Gesù come un fanatico inoffensivo, poi proponendo di liberarlo, in omaggio alla festa di Pasqua. I bisbigli rapidi dei sacerdoti, mescolati alla folla, decisero questa a reclamare, invece della liberazione di Gesù, quella di Barabba.
Il tumulto cresceva ad ogni istante e, dal cortile si estendeva oramai a tutta la città. Quando, in un ultimo sforzo per salvare il pescatore, Pilato dichiarò che Gesù, essendo nato suddito di Erode An-tipa, doveva essere rinviato a questi, e non poteva esser giudicato nè giustiziato a Gerusalemme, un furioso clamore salì dalla folla, che io ed i miei venti legionari durammo gran fatica a trattenere. La folla gridava che Pilato era un traditore, che non era l'amico di Tiberio!
Vicino a me, un fanatico pidocchioso, con una lunga barba e dei lunghi capelli, saltellava, gridando continuamente:
— L'imperatore è Tiberio! Non esiste un Re dei Giudei! Tiberio soltanto è imperatore!
Irritato, e pensando così di farlo tacere, posai sopra un suo piede, come per sbaglio, il mio pesante sandalo, che lo schiacciò. Ma il pazzo non parve prestarvi attenzione, e continuò a gridare :
— Tiberio solo è imperatore! Non c'è Re dei Giudei!
Vidi Pilato, l'uomo di ferro, che esitava. I suoi occhi si rivolsero verso di me, come per domandarmi consiglio. Io ed i miei legionari eravamo talmente nauseati dello spettacolo di viltà che offriva quella turba, che non attendevamo che un segnale per snudare le nostre spade e spazzare il terreno. Gesù mi guardava. Mi comandava la bontà, il perdono...