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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   236-4
   JACK LONDON
   quel fascino speciale, che è qualcosa più della bellezza, e che è difficile descrivere. Mi piaceva straordinariamente; e appena la scorsi, tutto il mio esaere si slanciò verso di lei, a braccia aperte.
   C'era in lei qualcosa di sublime. Non esagero, adoperando questa parola. Il suo corpo superbo sorpassava di molto, come statura, la media della donna ebraica. Tutto, in lei, era aristocratico; la casta alla quale apparteneva, come i suoi modi e il suo contegno. Il suo bel viso ovale aveva una tinta d'ambra, la sua opulenta capigliatura era nera, con dei riflessi azzurrini, ed i suoi occhi sembravano due pozzi profondi di mistero. Era impossibile trovare fra le creature un uomo biondo e una donna bruna che rappresentassero due tipi caratteristici come noi. E, nel suo petto, palpitava un cuore appassionato.
   Fin dal primo incontro, vibrammo all'unissono. Non vi fu, in noi, lotta interiore, nè esitazione od attesa. Ella comprese subito che io ero suo, ed io fui convinto che essa era mia.
   M'avanzai verso di lei. Miriam si rialzò a metà busto, sul divano in cui era distesa, come se una calamita l'avesse attratta verso di me. I nostri sguardi s'incrociarono, pupille azzurre in pupille nere, e non si lasciarono più, fino al momento in cui la sposa di Pilato, una donna magra, secca e rugosa, ci separò, con una risata nervosa.
   Mentre m'inchinavo, con rispetto, davanti all'illustre compagnia, mi parve di vedere Pilato lanciare verso Miriam un colpo d'occhio, che sembrava dire:
   — Non è proprio come ve l'ho promesso?
   Perchè io conoscevo Pilato da lunga data, ed avevamo conversato insieme, molto tempo prima che egli fosse inviato in Giudea, sul vulcano ebraico di Gerusalemme.