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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Il VAGABONDO DELLE STiSLLE
   §49
   tivano le loro parti; di modo che ero poi costretto a rimettere un po' d'ordine in tutte queste esistenze.
   Mi succedeva sempre di tornare indietro e di ri» vivere parecchie volte gli stessi momenti, gli stessi atti.
   Così, nel corso d'uno sdoppiamento del mio essere, essendo ritornato Adamo Strang, un mese dopo la domanda che m'aveva fatta Oppenheimer, osservai più da vicino i miei scacchi e constatai che differivano notevolmente da quelli che adoperiamo oggi. Il principio del giuoco era lo stesso, ma le combinazioni erano differenti. Spiegai tutto questo a Oppenheimer, e gli insegnai il giuoco, assai più complicato del nostro.
   Questo giuoco ci appassionò a tal punto, che ci occupò tutto l'inverno seguente. Fummo talmente assorbiti, che dimenticammo, in quei giorni lugubri, il freddo che ci mordeva. Le celle non sono riscaldate; sarebbe immorale attenuare anche un poco, per un condannato, il rigore naturale degli elementi...
   Oppenheimer, tuttavia, non fu convinto che la mia scienza provenisse dai secoli passati. Sosteneva che il giuoco, come le mie pretese avventure, fosse uscito tutto armato dal mio cervello.
   — Dovresti — mi disse, — farlo brevettare. Mi ricordo di aver conosciuto, quand'ero garzone di scuderia, un tipo che inventò un giuoco stupido, che si chiamava : « il porco nel trifoglio ». Questo giuoco stupido ebbe un successo enorme e fruttò dei milioni al suo inventore.
   Replicai che il mio brevetto verrebbe troppo tardi e che gli Asiatici l'avevano preso prima di me, senza dubbio qualche migliaio d'anni fa.
   La discussione finì n m'osto punto. Oppenheimer rimase ostinato asizioni; ed io nelle mie.
   fi vagabondo