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JACK LONDON
potè padroneggiare il turbamento che io feci nascere in lui e nei suoi-accoliti.
Fu talmente sconcertato dallo spettacolo da me offerto, che, di fronte al direttore, uscì dalla sua abituale riserva e gli dichiarò che, per quanto mi riguardava, declinava ogni sua personale responsabilità. Difatti, ni., apparve più nella mia cella.
Fu poi la volta d'Atherton, di rimanere sconcertato. Oppenheimer, che non aveva paura e che parlava liberamente, che aveva sopportato tutte le torture inflittagli, gli parlò un giorno di me.
Morrell mi raccontò la storia.
— Signor Atherton, — aveva detto Oppenheimer al mio carnefice, — voi andate troppo oltre. Se riuscite a far morire Standing, bisognerà ammazzare anche noi, io e Morrell. Altrimenti, verrà il giorno in cui potremo parlare. Quando saremo usciti, nar reremo la vostra infamia a tutti i prigionieri, e la notizia uscirà fuori di qui. Sì, tutta la California saprà che avete oltrepassato i vostri poteri e che siete un assassino. E potrete trovarvi male! Dovete scegliere: o lasciare in pace Standing, o ammazzare anche noi, io e Morrell. Noi siamo i vostri padroni. Voi siete un vile, e non oserete mai ucciderci tutti e tre. La vostra vocazione di macellaio non è completa.
Questo discorso valse a Oppenheimer cento ore di camicia di forza. Quando fu slegato, sputò in faccia al direttore; il che gli valse altre cento ore. E stavolta, quando fu slacciato, Atherton si guardò bene dall'esser presente. La minaccia di Oppenheimer e le sue coraggiose parole, avevano ottenuto il loro risultato; non c'era dubbio.
Il più tenace, nella diabolica crudeltà, fu il dottor Jackson. Io ero per lui un soggetto raro, ed egli era curioso di sapere quanto tempo potrei resistere.
— Può resistere venti giorni ancora, prima del