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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Il, VAGABONDO DELLE STELLE
   217
   zone che, stringendo i pugni dalla rabbia, udii cantare in Corea, fino all'ultimo giorno della mia vita. Diceva :
   « Yanggukeni chajin anga Wheanpong torà deunda... »
   e si poteva tradurre così : « Sulla cima del Whean, c'è una densa nebbia, per gli uomini dell'Occidente... »
   Sì, per quarant'anni, — quarant'anni di miseria, — fui mendicante sulla terra di Corea. Fra tutti i miei compagni di sventura, fui l'ultimo a sopravvivere. Anche la signora Om aveva la mia resistenza, ed invecchiammo insieme.
   Essa era diventata, alla fine, una vecchia sdentata e grinzosa. Ma la sua bella anima non si piegò, ed essa possedette il mio cuore fino al momento della mia morte. Quanto a me, per un uomo di settant'anni, ero rimasto ancora abbastanza vigo-'roso. Se il mio viso era diventato rugoso, se i miei capelli d'oro erano diventati bianchi e le mie spalle s'erano curvate, qualcosa sopravviveva ancora, nei miei muscoli, dell'antica forza. E fu grazie a questo, che potei compiere quel che adesso vi racconterò.
   In una bella mattina di primavera, era seduto colla signora Ohi, sugli scogli di Fusan, e ci scaldavamo al sole, a pochi passi dalla grande strada. Eravamo straccati, miserabili, impolverati. Eppure ridevamo entrambi di cuore, per una frase scherzosa della signora Oh^.
   Ad un tratto, un'ombra si abbattè sopra di noi. Era la grande lettiga di Chong-Mong-ju, portata da sette « coolies »,\ preceduta e seguita da una scorta di cavalieri, è fiancheggiata, da ogni lato, da un nugolo di servitori.
   Due imperatori, unà guerra civile e una dozzina