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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   192-4
   JACK LONDON
   stesso giorno; e, in quel giorno, mio padre me lo donò.
   In seguito, quando Hamel, curioso di sapere quel che avevo detto, conobbe questa storia, s'irritò e mi rimproverò.
   — Che vuoi farci? — gli replicai. — Ho detto cosi, per dire qualcosa, senza cattiva intenzione, credimi. Ma quel che è fatto, è fatto! Dobbiamo continuare a recitare la nostra parte, e tu devi prendere il tuo partito.
   Taiwun, fratello dell'imperatore, era un grande sciocco. Mi sfidò a bere. L'imperatore trovò piacevole la sfida e ordinò a mezza dozzina dei suoi nobili, che non erano fra i più intelligenti, di partecipare all'orgia. Le donne furono invitate a ritirarsi. Rimandai pure Hamel, irritato e brontolante, e tutti i miei compagni, non senza aver ottenuto per loro che lascerebbero il loro albergo e sarebbero alloggiati nel Palazzo stesso. Per contro, chiesi a Kim di restare vicino a me. Dopo di che, cominciò il torneo.
   L'indomani, tutto il Palazzo ronzava, come un alveare d'api, del rumore delle mie imprese. Avevo messo Taiwun e gli altri campioni in tali condizioni che russavano, ubbriachi fradici, sul loro materasso, quando io mi ritirai e, senza alcun aiuto, riuscii ad andare a dormire. E, da allora in poi, Taiwun non mise più in dubbio che io fossi un Coreano autentico. Soltanto un compatriotta, — egli affermava, — era capace di bere impunemente quanto io avevo bevuto.
   Il Palazzo imperiale formava, da sè solo, una vera città, ed io fui alloggiato, coi miei compagni, nel più bel quartiere, in una specie di Padiglione d'Estate, completamente isolato. Presi per me, ben inteso, il più magnifico appartamento. Hamel, Maartens ed i marinai dovettero accettare quello che lasciai loro disponibile.