(l vagabondo delle stelle
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— Attesto, — egli disse, — che parlava la nostra lingua, quando lo incontrai, che usciva dal mare...
Lo interruppi :
— Portatemi degli abiti degni di me; e subitol
E, voltandomi nuovamente verso le ballerine :
— Lasciate in pace i miei schiavil Hanno fatto un lungo viaggio e sono stanchi. Sì, quelli sono i miei fedeli schiavi.
Kim mi condusse in un'altra stanza, dove m'aiutò, secondo ij mio desiderio, a cambiar vestito. Poi rimandò ì domestici e, rimasto solo con me, mi diede una breve ed utile lezione sul modo di esprimermi e di comportarmi. Non sapeva, più di me, dove mirassi. Ma era, al pari di me, pieno di speranza.
Tornai nella Grande .Sala e (ecco la cosa più divertente dell'avventura), mentre parlavo il mio coreano, un po' scorretto per l'immaginaria lunga assenza dal paese, Hamel e gli altri, che s'erano intestati a non parlare che la loro lingua dopo l'arrivo a terra, non comprendevano niente delle mie parole.
— Io sono, — proclamai, — del nobile sangue della Casa di Koryu, che un tempo regnava a Songdo.
E raccontai, come meglio potei, una vecchia storia, che Kim m'aveva narrata durante la nostra cavalcata. Parlando, notavo che tendeva l'orecchio, con molte smorfie, per assicurarsi bene che ero un buon pappagallo.
L'imperatore mi domandò qualche altra Informazione sui miei compagni. Risposi:
— (Come ho già detto, questi sono i miei schiavi. Tutti, salvo quel vecchio, (indicai col dito Maar-tens), che è figlio di un uomo libero.
Feci segno ad Hamel che si avvicinasse.
— Quest'altro, — continuai, — è nato nella casa di mio padre, da una razza di schiavi. M'è particolarmente caro. Siamo della stessa età, nati lo
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