IL VAGABONDO DELLE SlELLt
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L'indomani, camminavamo sulla grande strada reale; sedici marinai sopra sedici cavalli nani, come se ne trovano in Corea, e ci dirigevamo verso Keijo. L'Imperatore, mi spiegò Kim, aveva espresso il desiderio di abbassare il suo sguardo sugli strani « Diavoli dei Mari ».
Il viaggio durò parecchi giorni, perchè bisognava attraversare, dal nord al sud, metà del territorio coreano.
Alla prima tappa, essendo disceso di sella, andai a dar da mangiare alle nostre cavalcature. Era il caso di gridare : « Che cosa ancora, Vandervoot? » Lo feci, e tutti accorsero. Gli uomini della nostra scjrta nutrivano i loro cavalli con della minestra di fave, calda. E durante tutto il tempo del nostro viaggio, i cavalli ebbero sempre di questa minestra calda di fave.
Erano, come ho detto, dei cavalli nani, straordinariamente nani. Avendolo scommesso con Kim, ne sollevai uno e, malgrado i suoi nitriti e la sua resistenza, lo alzai sopra le mie spalle, dove lo sostenni solidamente. Dimodoché gli uomini di Kim, che già avevano sentito parlare del mio soprannome di. « Yi-Yong-ik », l'Onnipotente, non mi diedero, da allora in poi, altro nome.
Kim era piuttosto grande per un Cofano, razza d'alta statura e muscolosa. Egli stesso\i stimava molto, su questo punto. Ma, gomito contro gomito e palmo contro palmo, io gli facevo abbassare il bràccio a volontà. Cosi i soldati e tutti quelli che si radunavano al nostro passaggio, nei casolari e nei borghi che attraversavamo, mi guardavano a Ibocca aperta, mormorando: «Yi-Yong-ik!»
Fummo promossi, infatti, alla dignità di serraglio ambulante. La nostra fama ci precedeva', e la gente di campagna accorreva in folla per goderci sfilare. Si allineavano lungo la strada, come/al pas-
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