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JACK LONDON
pitale, per conoscere quale sarebbe la decisione del sovrano a nostro riguardo.
Frattanto eravamo diventati oggetto di una esk bizione esotica. Dall'alba al crepuscolo, le sbarre delle nostre finestre erano assediate dagli indigeni, che non avevano mai veduto dei campioni della nostra razza. Fra tutti quei curiosi non c'era soltanto della plebaglia. Delle eleganti signore, portate in palanchino sulle spalle dei loro servi, venivano a vedere i diavoli stranieri sbucati dal mare; e, mentre i loro servi cacciavano la plebaglia a colpi di frusta, esse rischiavano verso di noi dei lunghi sguardi timidi. Da parte nostra, potevamo vedere poco del loro viso, che era velato, secondo l'uso del paese. Soltanto le ballerine e le vecchie circolavano, fuori, colla faccia scoperta.
Ho pensato spesso che Kwan-Jung-Jin soffrisse di nervi e che, quando questi lo tormentavano, se la prendeva con noi. Comunque fosse, tutte le volte che gli veniva il capriccio, ordinava che uscissimo dalla prigione, e che ci si battesse per la strada, fra gridi di gioia della plebaglia. L'Asiatico è una bestia crudele, che si diletta, senza stancarsi, allo spettacolo della sofferenza.
Finalmente, con nostra grande soddisfazione, le bastonature cessarono. Il motivo fu l'arrivo di Kim.
Chi era Kim? Di lui dirò soltanto che era il cuore più puro che avessimo mai incontrato in Corea. Era allora capitano e comandava cinquanta uomini, quando facemmo la sua conoscenza. Poi diventò comandante delle Guardie del Palazzo. E, finalmente, morì per amore della signora Om, e mio. Chi era Kim? Era Kim, e basta!
Appena egli arrivò, i nostri colli furono liberati dalla gogna e noi fummo alloggiati nel migliore albergo del posto. Senza dubbio, eravamo ancora dei prigionieri. Ma dei prigionieri rispettabili, con una guardia d'onore di cinquanta cavalieri.