Il, VAGABONDO DELLE STELLE
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La larghezza del salto da effettuare variava di secondo in secondo, colle oscillazioni dell'albero. Talvolta era di sei piedi, talaltra di venti. L'albero oscillava come un ubbriaco, per effetto del rullìo e del beccheggio, mentre la nave si schiacciava sempre più, ad ogni urto della sua chiglia contro gli scogli.
Mi slegai, e cominciai ad arrampicarmi. Arrivato sulla cima dell'albero tragico, misurai con un'occhiata la larghezza del salto necessario, e mi slanciai. L'operazione riuscì, ed io atterrai nell'anfrat-tuosità della spiaggia rocciosa. Là, mi misi a quattro zampe, pronto a tender la mano ai miei compagni, che m'avevano seguito in fretta nella scalata dell'albero. Non c'era tempo da perdere, perchè lo « Sparviero » poteva, da un istante all'altro, sprofondare nell'acqua. Eravamo tutti mezzo paralizzati dal vento gelato, che soffiava sopra i nostri vestiti bagnati.
Il cuoco di bordo fu, dopo di me, il primo a saltare. Fu lanciato nel vuoto ed io vidi il suo corpo che girava su se stesso, come una ruota di vettura. Un'ondata lo afferrò, mentre cadeva, e lo fracassò contro la roccia. Uno dei nostri mozzi, un giovane di vent'anni, barbuto, fu scagliato dall'albero contro una spìgolo della costa. Morì sul colpo. Due altri uomini piombarono nel vuoto, come aveva fatto il cuoco. I quattordici rimanenti e il capitano Maar-tens, che saltò per ultimo, furono sani e salvi. Un'ora dopo, lo « Sparviero » era inghiottito nel mare.
Per due giorni e due notti, in grave pericolo di morte, rimanemmo aggrappati alla scogliera, senza alcuna uscita per noi, perchè era impossibile scalarla, e non potevamo più ridiscendere verso il mare, che s'era un po' calmato.
Al mattino del terzo giorno, un battello da pesca