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JACK LONDON
faticare molto per ritirare dalla sabbia i due lavoratori che c'erano rimasti sotto. Soltanto dopo un'ora si riuscì a liberare Amos Wentworth. Dopo di che, il pozzo fu rinforzato con tavole tolte ai carri, e con dei timoni. Ma, a venti piedi di profondità, non si trovò che della sabbia umida. L'acqua non filtrava ancora.
La vita nella grande fossa, durante questo frattempo, diventava sempre più intollerabile. I ragazzi domandavano da bere piangendo, ed i piccolini strillavano e gemevano continuamente.
Roberto Carr, un altro ferito, che era sdraiato vi-eino a me ed a mia madre, aveva perduto la ragione. Continuava a gesticolare e a chiedere acqua a gran grida. Anche delle donne vaneggiavano, gemendo contro gli Indiani ed i Mormoni. Altre pregavano con fervore, e le tre grandi sorelle Dem-dike cantavano dei salmi, insieme alla loro madre. Altre ancora raccattavano della sabbia umida, levata dal pozzo, e l'accumulavano contro il corpo dei loro piccini, per tentar di rinfrescarli e di calmarli.
Esasperati per tante sofferenze, i due fratelli Fairfax, prendendo dei secchielli, strisciarono sotto un carro, e corsero, ad un tratto, verso la sorgente. Giller non era ancora a mezza strada, che cadde. Ruggero, più fortunato, potè andare e tornare, relativamente inaolume. I due secchielli che portò erano pieni soltanto a metà, perchè una parte l'aveva lasciata sfuggire, correndo. Strisciò di nuovo sotto i carri e scese nella grande fossa. La sua bocca era insanguinata.
Due mezze secchie non potevano bastare per tante persone. Soltanto i piccini, i ragazzi più giovani ed i feriti, n'ebbero la loro piccola parte. Io non potei ottenerne una sola goccia. Ma mia madre, bagnando un cencio nelle poche cucchiaiate che le