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JACK LONDON
Labano ardeva dal desiderio di conoscere che cosa passasse per quelle teste di bestie viziose.
— Non possono, — esclamava, — decidere quel che devono fare, e farlo senz'altro?
Nel pomeriggio, il caldo fu intenso, nella nostra fossa. Il sole ci dardeggiava coi suoi raggi, in un cielo senza nubi, e senza un soffio di vento. Gli uomini, sdraiati coi loro fucili, nella trincea scavata sotto i carri, erano in parte al riparo. Ma nella fossa, in cui si addensavano più di cento fra donne e ragazzi, e che era esposta al pieno sole, la temperatura era terribile. Sopra i feriti erano state tese delle tende, con delle coperte attaccate a dei picchetti. Si brulicava, si soffocava, e continuamente io cercavo dei pretesti per andare a raggiungere gli uomini sotto i carri, per portare fieramente qualche messaggio a mio padre.
Senza dubbio, avevamo commesso un grave errore, quando, formando il cerchio dei nostri carri, non vi avevamo incluso la fonte. La causa era nel pànico per il primo attacco degli Indiani, non sapendo se esso sarebbe stato subito seguito da un altro.
Adesso era troppo tardi. Esposti al fuoco nemico, non potevamo arrischiarci a levar le catene ai nostri carri ed a trasportarli più lontano. Mio padre ordinò a due uomini di scavare il suolo, nella nostra stessa cerchia, e di farvi un pozzo. Vi furono pure preparate delle latrine. *
Verso la fine del pomeriggio, rivedemmo Lee. Era a piedi e attraversava, in diagonale, la prateria situata a nord'ovest del nostro accampamento. Stava giusto fuori della portata dei nostri fucili.
Vedendolo, mio padre prese uno dei panni di mia madre, l'attaccò a due bastoni legati insieme, per farne un'asta più solida, e l'alzò, come bandiera bianca Ma Lea non se ne curò, e continuò la sua strada.