XIII.
IL GRANDE TRADIMENTO DEI MORMONI.
Quando mi svegliai, ero nella mia celia, in preda alla solita tortura della camicia di forza. Intorno a me c'erano i quattro personaggi abituali: il direttore Atherton, il capitano Jamie, il dottore Jackson e Hutchins.
Abbozzai il mio sorriso volontario e lottai con tutte le forze per non perdere il controllo di me stesso, sotto l'atroce dolore della circolazione vitale che riprendeva.
Bevetti l'acqua che mi tendevano, rifiutai il pane che mi si offriva e non risposi alle domande che mi facevano.
Avevo richiuso gli occhi, e mi sforzavo di ritornare a Nephi, nel cerchio dei carri incatenati. Ma, finché furono presenti i miei visitatori, e finché parlarono, non potei sfuggire dalla mia cella.
Mio malgrado, afferravo qualche brano della loro conversazione.
— Assolutamente come ieri, — diceva il dottor Jackson. — Non c'è niente di cambiato, nè in un modo nè nell'altro.
— Allora può continuare a, sopportarla? — chiedeva Atherton.