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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   1 fB JACK LONDON
   strappare qualche ciuffo d'erba secca, ed i cavalieri li spingevano coi loro pungoli. Talvolta, uno dei buoi si fermava per mugghiare, e questo muggito non era meno sinistro di tutto l'insieme.
   Lontano, molto lontano dietro di me, mi ricordavo di aver vissuto, piccolo bambino, in un paese più ridente, in riva ad un fiume, dalle sponde alberate. E mentre il carro camminava vacillando sulla strada interminabile e polverosa, mentre io oscillavo a cassetta, a fianco di mio padre, il mio spirito tornava indietro, verso quella dilettosa acqua che scorreva sotto gli alberi verdi. Ma tutto ciò era lontano, molto lontano, e sembrava che già da molto tempo vivessi in quel carro.
   Dominante tutte queste impressioni, pesava sopra di me, come sopra tutti i miei compagni, quella di andare alla deriva, ciecamente spinti dal Destino. Sembrava che seguissimo tutti un funerale. Non un riso si elevava. Non una intonazione allegra giungeva al mio orecchio. La pace e la tranquillità dello spirito non camminavano con noi. Tutti i visi riflettevano tristezza e disperazione.
   Mentre camminavamo al sole rosso del tramonto, nella polvere torbida, invano i miei occhi infantili frugavano quelli di mio padre, per scoprirvi il minimo messaggio di gioia. I suoi lineamenti polverosi erano burberi e contratti, e non riflettevano che ansietà, una immensa e inscrutabile ansietà.
   Un brivido, improvvisamente, parve correre lungo la carovana.
   Mio padre alzò il capo. Io feci altrettanto. I nostri cavalli drizzarono anch'essi le teste stanche e curvate. Fiutarono l'aria colle loro narici, eon lunghe aspirazioni, e si misero a tirare con ardore. I buoi staccati, che si trascinavano faticosamente, partirono a galoppo. Le povere bestie erano quasi ridicele, nella loro frettolosa goffaggine e nella loro'