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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   vide, seduta vicino a me, che consolava come meglio poteva un marmocchio piangente, che teneva in braccio.
   Quella donna era mia madre. L'uomo del quale scorgevo le spalle, sul sedile del carro che conduceva, all'estremità del lungo tunnel di tela, era mio padre.
   Mi misi a strisciare fra i sacchi caricati sul carro, e mia madre mi disse, con voce dolente e stanca:
   — Non puoi restare un po' tranquillo, Jesse?
   Jesse era il mio nome. Sentii mia madre che chiamava « Giovanni » mio padre. Ignoravo il cognome di famiglia, non avendolo mai sentito pronunziare. Tutto quello che sapevo, si è che gli altri uomini che facevano parte della nostra carovana d'emigranti chiamavano mio padre « capitano ». Era il eapo, ed i suoi ordini erano obbediti da tutti.
   Strisciando, raggiunsi l'estremità del carro, e riuscii a sedermi a cassetta, vicino a mio padre.
   L'aria, impregnata dalla polvere sollevata dai carri e dalle zampe degli animali che li tiravano, era soffocante. Si sarebbe detta una bruma opaca, una nebbia velata, attraverso la quale il sole, al tramonto, appariva rosso, come una palla sanguinosa.
   Tutto era uniformemente sinistro : il sole rosso, la luce d'intorno, il volto contratto di mio padre, l'agitazione disperata del piccino in braccio a mia madre, che non riusciva a calmarlo; i sei cavalli, attaccati al carro, che mio padre frustava sempre, e che, sotto la crosta di polvere che li copriva, non avevano più nessun colore.
   Sinistro era il paesaggio, la cui desolazione infinita rattristava la vista. A destra ed a sinistra, si stendevano delle basse colline. Qua e là, sulle loro pendici, crescevano solo dei rari cespugli, stentati e bruciati dal sole. Tutta la superficie di queste colline era arida '6 deserta e, come il cammino che se-