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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   mano che l'energia vitale si consuma, le reazioni diventano meno acute. Cosi successe in me. Diventai, a poco alla volta, una, specie di larva cenciosa e inerte, che si ostinava a vivere.
   Morrell e Oppenheimer, che sapevano quale trattamento subivo, erano addolorati per me. Essi m'inviavano, con continui pìcchiettìi, i loro consigli ed i loro segni di simpatia. Oppenheimer mi diceva che aveva conosciuto ancora di peggio, eppure non era morto.
   — Non permettere loro di dominarti, Standing! — mi diceva colle dita. — Tieni duro, e non lasciarti morire. Sarebbero troppo contenti. E soprattutto non rivelare mai il segreto! Ora meno che mai!
   Sdraiato sulla schiena, nella mia camicia di forza, non potevo rispondere che col piede. Colla punta della scarpa, picchiettai la risposta:
   — T'ho già detto che non c'è nessun segreto da svelare. Non so niente, niente, niente.
   — Inteso e compreso! — approvò Oppenheimer.
   E continuò, rivolto a Morrell:
   — Quello Standing è straordinario!
   Come volete che potessi arrivare a convincere il direttore Atherton, dal momento che Oppenheimer stesso non sapeva che ammirare la mia forza d'animo nel corservare il segreto?
   Quando dormivo, mi mettevo subito a sognare Questi sogni avevano fra loro una notevole coesione. Fondati sopra una base reale, mi riportavano sempre alla mia antica professione di agronomo.
   /Spesso, mi sembrava di parlare davanti ad una assemblea di dotti, riuniti per ascoltarmi. Leggevo loro i documenti da me riordinati, e che riguardavano le mie ricerche o quelle d'altri colleghi. E, quando mi svegliavo, il mio sogno era stato così preciso, che mi sembrava ancora di sentir risuonare la mia voce. Mi sembrava vedere ancora da-