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JACK LONDON
Ma io ero già troppo abituato alla camìcia di forza, perchè una punizione, anche di cento ore, potesse danneggiare gravemente la mia costituzione. Senza parlare dei sotterfugi muscolari che avevo scoperto e che mi permettevano di guadagnare un po' di spazio, mentre mi legavano.
Mi rialzai, indebolito. Senza dubbio, m'avevano rubato un altro po' di vita. Ma uscii da questa prova spossato e rotto, niente di più.
Dopo un giorno ed una notte che mi furono accordati per ricuperare le forze, fui gratificato d'una seconda punizione, questa di centocinquanta ore. Ne risultò per me un intorpidimento generale e, per il mio cervello, un abbrutimento incosciente. Riuscii così a rubare al tempo delle lunghe ore di sonno.
Poi il direttore Atherton tentò delle varianti. Mi diedero, ad intervalli, la camicia di forza e un po' di riposo. Non sapevo mai quando mi toccava il supplizio. Talvolta avevo dieci ore di riposo e ne facevo venti legato; talvolta non mi lasciavano che quattro ore per respirare. In piena notte, quando meno me l'aspettavo, la mia porta si apriva violentemente e la squadra di turno mi legava. Oppure, per tre giorni e tre notti consevutive, otto ore della famosa camicia si alternavano regolarmente con otto ore di respiro. E, proprio quando cominciavo ad abituarmi a questo ritmo del mio supplizio, lo modificavano improvvisamente e m'infliggevano, d'un colpo, due giorni e due netti di camicia di forza.
E, sempre, durante questo tempo, tornava l'eterna domanda:
— Dov'è la dinamite?
E sempre, non sapendo a qual santo votarsi, il direttore Atherton passava, dall'eccesso della collera, ad una quasi supplicazione. Faceva sempre balenarmi davanti agli occhi mille vantaggi, se mi
tossi deciso a parlare.